Tradurre videogiochi: tutto meno che un gioco
Breve storia triste di un settore ricco di risorse, di cui poche dedicate alla traduzione
Il boom dei contenuti audiovisivi on demand su piattaforme come Netflix e Amazon Prime ha reso popolari i problemi legati a traduzione dei sottotitoli e doppiaggio di serie TV e film. Esiste però un altro settore da sempre alle prese con tempistiche serrate, condizioni di lavoro spesso insufficienti, traduttori improvvisati ed errori marchiani: la localizzazione dei videogiochi.
Roba da ragazzini?
Ogni crisi ha una doppia faccia. Se per alcuni settori la pandemia di COVID-19 è stata una fatality in puro stile Mortal Kombat, per altri si è rivelata il funghetto di Super Mario. Le limitazioni alla socialità hanno giovato, ad esempio, alla consegna di cibo a domicilio e al consumo di contenuti audiovisivi on demand. Ma c’è un settore che più di tutti ha beneficiato del lockdown. Secondo Market Watch, nel 2020 il settore dei videogiochi ha guadagnato circa 180 miliardi di dollari, il 20% in più rispetto all’anno precedente. Numeri che il cinema e lo sport, almeno nel Nord America, hanno visto solo col binocolo.

Il settore dei videogiochi è come l’universo: in espansione. E lo è ormai da diversi anni. Le aziende di maggior spicco staccano assegni plurimilionari per accaparrarsi il gamer-influencer più in vista e gli streamer su Twitch ottengono più visualizzazioni dei contenuti televisivi, mentre gli eSport, veri e propri campionati svolti in arene online con un giro di sponsor e diritti media che nel 2019 ha fruttato circa 1,1 miliardi di dollari, sono candidati all’inclusione nel programma delle Olimpiadi estive del 2024.

Piattaforme come Steam, Epic Games e Stadia si contendono il mercato mondiale dei videogiochi per PC a colpi di titoli e sconti, mentre i rilasci di nuove console e dispositivi si rincorrono a ritmi impressionanti. Il tutto senza entrare nel merito delle grandi potenzialità della realtà virtuale, la cui esplorazione è ancora solo agli inizi, tanto in ambito videoludico quanto in quello, ad esempio, culturale. Il quadro è chiaro: l’industria del videogioco fattura ormai più di quelle musicali, televisive e cinematografiche messe assieme. Eppure, c’è un aspetto di questo mondo a cui vengono dedicate poche risorse e un’attenzione limitata: la traduzione. Ma, a differenza della crescita di ricavi, questa è una faccenda che va avanti praticamente da sempre.
Una storia d’amore non sempre corrisposto
Negli anni ’70 del Novecento, agli albori della storia dei videogiochi, il monopolio di produzione e utilizzo era detenuto da Stati Uniti e Giappone, luoghi natali delle prime aziende del settore come Atari e Nintendo. Il poco testo nei videogiochi statunitensi permetteva un’ampia distribuzione globale senza la reale necessità di investire in processi di localizzazione. Al contrario, i primi videogiochi giapponesi erano realizzati per un pubblico locale, e la sporadica presenza di termini inglesi era più un semplice orpello decorativo che un tentativo di adattamento dei contenuti per un pubblico internazionale.
Con il rilascio delle prime console alla fine degli anni ‘80, i videogiochi entrano prepotentemente nelle case ai quattro angoli del globo per diventare un prodotto di largo consumo. Anche per l’esigua quantità dei testi presenti nei videogiochi, la localizzazione ancora non è considerata parte integrante del processo di produzione. Questo è il buio periodo in cui gli adattamenti sono spesso affidati a sviluppatori, parenti, amici e persone generalmente non madrelingua.

Nei primi videogiochi tradotti dal giapponese compaiono di frequente goffi tentativi di traduzioni in inglese a cura dei pochi sviluppatori nipponici che ne masticavano qualche parola, spesso trasposta in modo infelice a causa delle differenze fonetiche tra le due lingue. All your base are belong to us di Zero Wing è uno dei casi più noti di questo improbabile mix classificabile come game Engrish, ma troverai molti altri esempi sia sul Web che nell’imperdibile volumetto This be book bad translation, video games!, da cui è tratta l’immagine qui sotto.

Dovremo attendere gli anni 2000 perché gli editori si rendano conto dell’importanza della localizzazione e corrano finalmente ai ripari assumendo traduttori professionisti ed esperti in materia. Le tecnologie in costante miglioramento permettono via via una maggiore presenza di testi e narrazione. Al contempo, i supporti fisici permettono di contenere un quantitativo di dati sempre più grande, potendo finalmente includere numerose lingue. Inoltre, le traduzioni amatoriali dei videogiochi e le relative patch circolano liberamente, il che rispecchia la sempre maggiore richiesta da parte di giocatori non anglofoni. Ma, nonostante la maggiore consapevolezza e i fiumi di denaro che smuove il settore, di erroracci nei videogiochi continuiamo a vederne a bizzeffe. Com’è possibile?
Un gioco al ribasso
Sempre che sia prevista, la traduzione di un videogioco viene spesso relegata all’ultimo step prima della distribuzione, quando il processo di internazionalizzazione, che serve a predisporre l’architettura del gioco alla potenziale localizzazione in più lingue, non è più attuabile. È da qui che derivano problemi legati a spazi inadeguati, caratteri non supportati, formati e convenzioni (date, unità di misura e valuta) errati, sintassi delle variabili non modificabile, testi contenuti nelle immagini (e quindi intraducibili), glossari mancanti e tanti altri meravigliosi disagi.
Talvolta la traduzione in una o più lingue viene rilasciata in un secondo momento, in base al budget rimasto e alle analisi di mercato. Questo perché, nonostante la maggior parte dei consumatori preferisca usufruire di prodotti tradotti, localizzare un videogioco in più lingue non è sempre una garanzia di guadagno. Anzi, secondo alcuni sviluppatori ed editori, alcune lingue sono proprio uno spreco di soldi. Ecco perché capita che siano le comunità di appassionati a tradurre le lingue non incluse nei rilasci ufficiali e renderle disponibili tramite patch e contenuti scaricabili, così che i videogiochi siano accessibili anche a chi non ha un’adeguata conoscenza dell’inglese.

Ultimamente sono sempre più numerosi gli editori che per i propri titoli optano per una localizzazione verso poche lingue o affidata alla traduzione automatica, con risultati spesso a dir poco disastrosi. Vedi l’esempio qui sopra, l’imbarazzante Google Translation di una frase in slang che ho avuto il (dis)piacere di rivedere. Esattamente il motivo per cui non mi preoccupo troppo della traduzione automatica e di quanto possa rubare il lavoro ai traduttori umani (quelli bravi, almeno).
If you pay peanuts…
Esistono anche diversi siti e community che offrono localizzazioni crowdsourced, uno tra tutti Localizor.com. Su queste piattaforme gli editori possono far tradurre i propri videogiochi a costo zero da una moltitudine di traduttori in erba in cerca di qualche titolo da inserire in curriculum. Per quanto si possano trovare anche persone effettivamente valide e capaci, un gioco tradotto da decine di appassionati che non hanno modo di lavorare in squadra e confrontarsi sulle scelte linguistiche porta quasi inevitabilmente a errori grossolani e incoerenze. Basti pensare a quante traduzioni può avere un singolo vocabolo ricorrente, alla scelta stilistica delle maiuscole, ai nomi di luoghi e personaggi potenzialmente rinominabili a piacere da ogni singolo traduttore in assenza di un glossario condiviso.

Possiamo vedere lo stesso risultato anche quando del denaro viene effettivamente stanziato: basta affidarsi a compagnie di localizzazione economicissime, in cui decine di diversi traduttori più o meno qualificati lavorano a più riprese su numerosi aggiornamenti dello stesso testo senza glossari né memorie di traduzione. Ma anche le agenzie più organizzate spesso optano per ingaggiare freelance a basso costo, vuoi per il budget risicato messo a disposizione dal cliente finale o semplicemente per fare più margine possibile. In fondo, chi non ama risparmiare?
I traduttori di videogiochi sono spesso sottopagati perché “si divertono”, perché “sono giovani”, perché “sono appassionati”, “perché lo può fare anche mio cugino” e per mille altre motivazioni. E così agenzie ed editori finiscono a lavorare con videogiocatori non specializzati in traduzioni o con traduttori non specializzati in videogiochi. Cosa mai potrebbe andare storto? Ad esempio potresti trovare arcade tradotto ovunque come “arcadia”. True story. Insomma, anche per la traduzione dei videogiochi vale il solito adagio if you pay peanuts, you get monkeys: se paghi in noccioline, ti becchi le scimmie.
Ma non è sempre una questione di budget
Eppure la TDM è dietro l’angolo anche quando si mettono in campo le migliori intenzioni. Immaginiamo la situazione ideale: il gioco è una bomba, lo script anche, la traduzione avviene in parallelo allo sviluppo e ci siamo affidati ai migliori traduttori sul mercato o a un’agenzia specializzata. Cosa mai potrà andar male? Beh, più o meno tutto…
La costante di buona parte dei videogiochi sviluppati e tradotti in contemporanea è l’assenza di riferimenti, vuoi perché il videogioco materialmente non esiste ancora, vuoi perché tutto il materiale è coperto da accordi di non divulgazione. Ricordiamoci quanti soldi e quanto hype possono girare attorno ai titoli più attesi (sì, Cyberpunk 2077, sto parlando di te). Che gli editori siano cauti nel diffondere anteprime è comprensibile, peccato che in questo modo si traduca alla cieca. È raro avere immagini, scene, build giocabili e altri contenuti che possano far capire a chi traduce chi è che parla, a chi si rivolge, di cosa sta parlando e così via. In una situazione simile, non c’è da stupirsi che, come vediamo qui sotto, tips possa essere tradotto con “consigli” invece che con “mance”. Tra l’altro, l’esempio è tratto da Overcooked, titolo altrimenti tradotto in maniera inappuntabile e con ottime trovate e giochi di parole (una su tutte, il pane zombie Unbread tradotto con “Pane malfermo”).

E ancora: che ne dici di questo tablet che per magia diventa una compressa?

Se queste siano traduzioni automatiche non riviste o traduzioni umane fatte al buio non è dato saperlo. L’unica cosa certa è che senza una fase di testing sul prodotto finale, è molto facile che il rilascio contenga errori di traduzione legati al contesto. Ma questo è solo il problema più comune. Nel corso di qualche anno nel campo ho avuto la possibilità di raccogliere molte perle dai titoli a cui ho lavorato o giocato; usiamone alcune per vedere insieme le difficoltà classiche che deve affrontare chi traduce videogiochi.
La mancanza di contesto
Sì, ancora lei. Ma finché noi localizzatori di videogiochi non saremo nelle condizioni di poter accedere al gioco in fase di sviluppo, sarà sempre il caso di parlarne. Ecco alcuni esempi di quanto sia facile fare una scelta sbagliata e vedere la propria traduzione su pagine tipo La Traduzione di Merda (ti suona familiare?).

Al contrario dell’italiano, l’inglese è una lingua gender-neutral: sostantivi, aggettivi e participi non cambiano in base al genere del soggetto. Nel caso qui sopra, si poteva prevedere che il protagonista di un gioco di pirati fosse una donna? Forse, con un po’ di fantasia (è pur sempre la rottura di uno stereotipo) e qualche indicazione di contesto in più. Come fare a conoscere il genere dei personaggi in assenza di una scena esplicativa? Si chiede agli sviluppatori, che non sempre hanno modo o tempo (o voglia) di rispondere prima della deadline. Altrimenti, si prega Titivillus perché abbia pietà di noi e si sfodera la cintura nera in vaghezza ed evasività. Questa guida sul linguaggio inclusivo potrebbe tornarti utile in tal senso.
Ma, oltre a maschile e femminile, you può essere anche singolare o plurale. Non a caso è una delle parole più difficili da tradurre secondo questo video di Ted-ED, nonché uno degli incubi del localizzatore di videogiochi. In mancanza di indicazioni, la possibilità di indovinare è del 50%. E, come Murphy insegna, se qualcosa può andare storto, lo farà.

Ad aumentare ulteriormente l’entropia abbiamo anche i tag, entità variabili che possono rappresentare numeri, persone, luoghi e oggetti. Queste variabili sono mattoncini che non possono essere modificati e devono essere collocati al posto giusto all’interno di una frase sperando di aver interpretato il giusto significato di anonimissimi {1}, {2} o {3} e di azzeccare la sintassi di conseguenza. Un esempio:
Meet {1} in {2}.
Questa frase vorrà dire “Incontra {personaggio} in {un certo luogo}” o “Incontra {personaggio} fra {tot tempo}? O ancora:
Get a {1} {2} for {3} {4}.
Supponendo che il {2} sia un sostantivo, non possiamo comunque azzardarne il genere: sarà una spada o uno scudo? Nuovamente, vaghezza oblige: opteremo per un “Ottieni: {2} {1} per {3} {4}”, che nel gioco potrebbe diventare “Ottieni: scudo blu per 10 diamanti” oppure “Ottieni: spada verde per 30 monete”. Si potrebbe andare avanti così per ogni sintagma esistente, ma ti risparmio lo strazio.
Le trappole del contesto: quando il rasoio di Occam non è attendibile
Nella traduzione dei videogiochi bisogna fare spesso di necessità virtù. Non avere tutto il contesto a disposizione ti obbliga a lavorare di intuito, ma le trappole della polisemia sono sempre ben tese. Partiamo da un’esperienza personale di cui però non ho screenshot (su su, un po’ di immaginazione). Gioco di corse automobilistiche. La sibillina stringa riporta una sola parola: director. Facile! Indicherà un qualche direttore o responsabile delle case dei costruttori delle auto che si sfidano in pista. E invece no! Salta fuori che si trattava di un regista, in quanto tale ruolo era riferito alla possibilità di rivedere i replay della corsa e montarli a proprio piacimento. Con lo stesso ragionamento, un’occorrenza di gear ha rischiato di essere tradotta come “marcia”, peccato che apparisse scritto in grande nella pagina del negozio del gioco in cui acquistare equipaggiamento (gear) per le auto.
Prendiamo come altro esempio di caso in cui l’intuito non basta questa scena di Assassin’s Creed: Origins, videogioco su cui ho lavorato. In fase di traduzione era impossibile sapere la collocazione nello spazio del protagonista, Bayek, rispetto a un bambino finito in un pozzo, Keba. Era realistico ipotizzare che Bayek si rivolgesse a Keba guardandolo dall’alto verso il basso, peccato che in gioco fosse possibile avvicinarsi al bambino ben prima dell’effettivo inizio del dialogo, con conseguente esito quantomeno bizzarro.

Si sarebbe potuto risolvere con un “Keba? In nome degli dèi, che stai facendo in fondo al pozzo?”, frase neutra che funziona indipendentemente dalla posizione di Bayek. Tale soluzione, purtroppo, è stata proposta in una fase troppo avanzata del testing, a ridosso del rilascio, e non è stata implementata nel gioco finale.
Le stringhe assemblate in base alla sintassi inglese
Altra tipologia di problema molto comune. Prendiamo ad esempio una schermata di Huntdown, in cui due stringhe scollegate tra loro (Difficulty in una riga del file e High/Normal/Low in un’altra), una volta ricomposte, hanno creato il risultato qui sotto.

Tutto ciò è comunque trascurabile rispetto al meraviglioso “Prendere Jolly giro”, composizione creativa che ho incontrato in una revisione, causata dalla ricomposizione di Take Joker Lap (ovvero, “Fai un giro jolly”). Analogamente, anche qui sotto due stringhe separate sono state riassemblate rispettando la sintassi inglese: Daily Quiz diventa un surreale “Giornaliero Quiz” invece di un “Quiz giornaliero”.

Se poi una delle righe contiene solo una preposizione e non possiamo sapere a cosa si collega, la situazione si fa ancora più complicata. È ciò che è successo nel caso qui sotto.

Per evitare questo tipo di errori non bastano nemmeno i linguisti più formidabili: il gioco deve essere progettato a monte in modo da potersi adattare alla diversa sintassi delle varie lingue di arrivo, ma anche controllato a valle per verificare che tutto sia andato per il verso giusto.
La brevità (o l’assenza) della fase di testing
Quando in fase di traduzione il contesto è assente o carente, è la fase di testing a fare la differenza. In parole povere, questo passaggio serve a verificare che tutte le stringhe di testo abbiano senso nelle schermate finali e non presentino corruzioni di carattere o errori di altro tipo. Abbiamo già visto l’esempio di tips tradotto come “consigli”: un’accurata fase di testing avrebbe potuto facilmente risolvere un problema simile. Inserirei tra i fail dovuti alla mancanza di contesto anche l’immagine qui sotto, tratta da Wattam.

Sicuramente è difficile, senza una spiegazione dettagliata, immaginare che un birillo stia giudicando l’altezza della pila dei tuoi personaggi esclamando “Troppo basso” o “Troppo alto”. Anche qui, probabilmente, la svista è finita nel rilascio finale del gioco a causa di una carente (o assente?) fase di testing. In ogni caso, sarei curiosa di sapere le dinamiche che hanno portato a una scelta di traduzione simile.

Gli strumenti di traduzione assistita (per gli amici CAT) sono comodi, e tanto, soprattutto per tradurre videogiochi, i cui testi presentano molteplici stringhe ripetute innumerevoli volte, talvolta con minime variazioni. Ma sono proprio quelle variazioni che, complice una minima distrazione e la mancanza di testing, finiscono per creare piccoli incidenti di logica o episodi di déjà vu. Vedi l’esempio qui sopra, tratto da Borderlands 2.
La dubbia professionalità
Al netto delle condizioni di lavoro spesso difficili, la causa di molti errori risiede nella professionalità di chi traduce. Abbiamo capito che il mondo della traduzione dei videogiochi è un po’ un Far West: quasi chiunque può autoproclamarsi traduttore e convincere un cliente della propria competenza. Le aziende, specie quelle più piccole, non hanno sempre il modo di giudicare la professionalità di una persona e devono fare affidamento ai curriculum. A volte, per salire a bordo della nave della localizzazione di videogiochi basta una buona lista di partecipazioni e titoli, anche tradotti in modo amatoriale. Se poi a stento sai scrivere in italiano, poco importa. Nella mia carriera di tester e revisora ho avuto modo di incontrare numerose brutture che vanno dalle deviazioni regionali alle neoformazioni superflue. Eccotene qualcuna.


Ecco invece un caso comparso sulle pagine della TDM. “Scoppiare” è intransitivo e non può essere seguito da un complemento oggetto. Altre vittime frequenti del transitivo usato in modo confuso e infelice sono “sparare”, “esplodere” e “detonare”.

I casi riportati qui sotto invece li ho scovati durante un controllo finale poco prima del rilascio ufficiale.

Queste perle erano sopravvissute indenni alle fasi di revisione e testing. Mi sono chiesta a lungo come sia stato possibile: un traduttore affermato non può perdersi in errori così banali. Probabilmente il gioco è stato subappaltato a un principiante, nonostante il nome che compare nei riconoscimenti del gioco sia quello di una persona con decine di collaborazioni di alto livello. Purtroppo, nel settore dei videogiochi succede anche questo.
La sciatteria (quanno ce vo’ ce vo’)
Tocca dirlo: ci sono casi in cui nemmeno le difficoltà tecniche e le condizioni di lavoro precarie possono giustificare errori o imprecisioni. Guardiamo a un altro esempio da Overcooked, un titolo che ho ragione di credere sia tradotto da esseri umani e non in modo automatico. Se ti intendi di videogiochi, non servono decine di screenshot per sapere che high score indica il punteggio massimo raggiunto e non solo un “punteggio alto”.

È così che lo steer lock, inteso come “fine corsa” dei dispositivi fisici che simulano il volante delle auto, in un videogioco di gare automobilistiche può diventare un “bloccasterzo” (te lo immagini, in un gioco di rally, di dover parcheggiare e mettere il Bullock?). E come dimenticare quella volta in cui ho visto gli abitanti di un villaggio “svuotarsi a terra come bambole” a causa di una maledizione? Credo si trattasse della maledizione della traduzione buttata lì a casaccio. O ancora, mi è capitato che revenge potesse diventare una rancorosa vendetta anziché una più innocua “rivincita” in un pacifico solitario match-3.

Che poi, capiamoci, a chiunque può capitare una svista o di prendere un granchio di tanto in tanto, per questo le fasi di revisione e testing sono importantissime. Basta anche una semplice rilettura del testo finale per notare refusi o errori di grammatica marchiani. Peccato che queste fasi vengano spesso sacrificate per mancanza di budget o semplice trascuratezza. L’esempio qui sotto, tratto da Resident Evil 0 per Gamecube, apre a varie ipotesi: combo letale di refusi? Traduttore non madrelingua? Semplice sciatteria? Sono tutte possibili, ma a ben vedere ce ne sarebbe anche un’altra.

Le modifiche da parte del cliente finale
Le immagini qui sotto sono tratte da un gioco che ho seguito interamente, dalla fase di sviluppo a quella di rilascio. Con mia somma sorpresa, durante una diretta su Twitch ho notato queste perle.




Queste sono aggiunte successive al rilascio a cura della casa editrice, che ha preso in gestione il gioco per pubblicarlo e applicato alcuni “ritocchi” per mano di un loro non meglio identificato collaboratore. Contenti loro…
Quindi, è tutto un gioco o una roba seria?
Avrai inteso da questa panoramica che nel processo di localizzazione di un videogioco possono andare storte un sacco di cose. Come io stessa ho imparato solo a forza di imbattermi in tali situazioni, bisogna sempre essere cauti nel condannare con leggerezza gli errori che troviamo nei videogiochi. Talvolta gli errori sono imputabili a chi traduce, ma spesso sono dovuti a dinamiche esterne. Ecco perché, per fare questo lavoro, non basta solo la competenza linguistica, come non basta solo la passione per i videogiochi.
Esistono appassionati di videogiochi che non hanno mai completato un percorso di studi canonico né studiato lingue e che ora sono tra i capisaldi della localizzazione italiana, così come traduttori con una o più lauree che lavorano nel settore da anni e ancora non beccano i congiuntivi. Parallelamente, esistono persone senza formazione linguistica che, forti della loro passione ma senza le competenze necessarie, si lanciano nella traduzione con esiti non sempre brillanti, così come, per fortuna, ci sono anche molti linguisti certificati e competenti nel campo dei videogiochi. Sui pro e i contro di ciascuna figura se ne discute più o meno da sempre; l’argomento è tornato nell’occhio del ciclone a gennaio 2021 per via della localizzazione di Hades, titolo per cui la casa editrice si è affidata sia a professionisti che a membri della community.
Una nicchia per chi ama giocare, anche con la lingua
L’esperienza, la competenza e la passione sono componenti irrinunciabili di questa professione, troppo spesso sottovalutata o relegata a mero accessorio della catena di produzione di un videogioco. È un lavoro caratterizzato da ritmi estenuanti, cambi improvvisi, evoluzioni rapidissime (nel linguaggio, nei generi, nel pubblico e nei mezzi) e innumerevoli registri linguistici nei più svariati campi di competenza. Un localizzatore esperto saprà passare con scioltezza da un first person shooter a un gioco per bambini sugli unicorni a un titolo sulla costruzione dei ponti a un simulatore di pesca, spesso nella stessa giornata. Mi sento di dire che la localizzazione dei videogiochi è una nicchia per chi sa giocare con la lingua e ama i giochi e il loro linguaggio.
Come la traduzione in generale, anche la localizzazione dei videogiochi fa fatica a farsi considerare una professione altamente specializzata. Personalmente sono fiduciosa per il futuro, anche se molto dipende da noi: più ne parliamo tra di noi, sui social network o, quando capita, nelle interviste, più ci avviciniamo al momento in cui la traduzione sarà vista come un valore aggiunto non trascurabile. È un percorso lungo e pieno di ostacoli, ma possiamo sempre incrociare le dita e rimboccarci le maniche per sensibilizzare il più possibile clienti e pubblico.
L’impossibilità di poter parlare dei propri lavori e delle proprie esperienze a causa degli immancabili accordi di non divulgazione e la feroce competizione a suon di tariffe ribassate sono spesso una bella gatta da pelare per chi lavora in quest’ambito. Ma, d’altronde, ci sono mestieri che si scelgono e mestieri da cui si viene scelti. Per quanto mi riguarda, la bellezza di una professione come la nostra risiede nella perenne sfida, nell’infinita varietà e nel continuo apprendimento. E, come dico sempre, in fondo bisogna essere un po’ masochisti per fare i localizzatori dei videogiochi…

Anche tu traduci videogiochi? Hai qualche bella o brutta esperienza da condividere? Lasciaci un commento oppure scrivici su Facebook, Instagram o Twitter!
Seguici anche su Telegram
Ti è piaciuto l’articolo?
Acquista uno dei nostri prodotti di merchandising: ci aiuterai a scriverne altri.