Linguaggio inclusivo in italiano: guida pratica per chi scrive per lavoro (e non)
Consigli ed esempi su come creare testi equi dal punto di vista del genere
Se lavori nell’ambito della traduzione o della comunicazione, potresti dover scrivere in modo inclusivo come specifico requisito di progetto. Farlo in italiano non è semplice, ma nemmeno impossibile: basta usare la nostra lingua con attenzione e creatività e seguire alcuni suggerimenti, come quelli che troverai in questa guida.
Premesse generali
- Scrivere in modo inclusivo significa trattare nel modo più equo possibile tutti i generi: maschile, femminile e non binari. Questi suggerimenti sono utili soprattutto quando ci rivolgiamo in modo diretto a un gruppo non omogeneo di persone, come può succedere in newsletter, applicazioni, articoli di blog, contenuti di assistenza e così via. Se non sappiamo chi c’è dall’altra parte dello schermo o del foglio o non conosciamo la persona di cui dobbiamo parlare, non dobbiamo dare per scontato il suo genere. Se invece lo sappiamo, ci comporteremo di conseguenza.
- Nessuna guida sulla scrittura inclusiva può considerarsi esaustiva e definitiva. Includere qualsiasi combinazione e caso d’uso è impossibile: anche le indicazioni del Parlamento europeo parlano piuttosto di suggerimenti per la creazione di testi “quanto più possibile rispettosi dell’identità di genere”. Nella pratica, troverai sempre nuovi problemi e dovrai trovare sempre nuovi modi per aggirarli. Non è stimolante?
- È consigliabile evitare soluzioni che riducono la leggibilità, come sbarre, parentesi, asterischi e chiocciole. Per capirci, tutti i casi tipo “lui/lei”, “inquilini(e)”, “tutt*” o “interessat@”. Se consideriamo che non è chiaro come andrebbero lette e che andrebbero applicate a tutti gli elementi declinabili di una frase (articoli, preposizioni, participi, verbi), possono trasformarsi più in un impaccio che in una soluzione. Ma sono comunque una delle diverse strade percorribili: non escluderla a priori, specie in situazioni dove lo spazio è poco.
- Se non hai tempo e budget per fare un lavoro minuzioso o devi lavorare su un testo molto lungo o tecnico, una soluzione economica è l’uso del maschile “neutro” sovraesteso con una nota iniziale per specificare che i termini usati al maschile fanno riferimento a tutti i generi. Non è il massimo, ma in alcuni casi può essere un buon ripiego.
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Iniziamo a vedere suggerimenti ed esempi pratici.
Non usare participi e altri elementi al maschile “neutro”

Per convenzione grammaticale, il maschile può agire anche come “neutro” per riferirsi a gruppi non omogenei o in comunicazioni dirette a un’audience generale. Ciò nasconde nel testo le persone di genere femminile o non binario, un problema sia di precisione che di discriminazione. Ma per fortuna, la nostra lingua ci offre un sacco di soluzioni per aggirare il problema, come:
- Cambiare il soggetto in modo da non usare un participio
- Usare delle perifrasi
- Cercare sinonimi dei verbi
- Cambiare prospettiva della frase
- Omettere sostantivi e pronomi per lasciar definire il soggetto al verbo
Ecco qualche esempio in cui ho usato una o più di queste soluzioni.
Il tuo amico [nome] ti ha invitato a provare la nostra app | Hai ricevuto un invito a provare la nostra app da [nome] |
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Da 1 a 10, quanto sei soddisfatto del nostro servizio? | –
Da 1 a 10, quanto ti soddisfa il nostro servizio? – Da 1 a 10, che voto daresti al nostro servizio? – Da 1 a 10, come valuteresti il nostro servizio? |
–
Scopri se sei idoneo alla promozione – Complimenti! Ora sei idoneo alla promozione | – Scopri se puoi partecipare alla promozione – Complimenti! Hai ottenuto l’idoneità alla promozione |
Ci dispiace sapere che questo episodio vi ha turbati | Ci dispiace sapere che questo episodio vi ha arrecato un disagio |
Quando sei pronto, fai clic su “Avanti” | Una volta terminata l’operazione, fai clic su “Avanti” |
Benvenuto Benvenuti | Ti diamo il benvenuto Vi diamo il benvenuto |
Dobbiamo tutti impegnarci di più | Dobbiamo impegnarci di più |
Sei un traduttore o un copywriter? | Lavori nel settore della traduzione o del copywriting? |
Per evitare il maschile “neutro” puoi anche usare forme passive o impersonali, ma attenzione a non abusarne: oltre ad appesantire il testo, possono dare adito a confusione e ambiguità.
I candidati devono inviare il proprio portfolio entro… | Il portfolio deve essere inviato entro… |
I dottori hanno operato la paziente per diverse ore… | La paziente è stata operata per diverse ore… |
In entrambe le costruzioni passive non è palese chi deve compiere o ha compiuto l’azione. Ma se il soggetto può essere dedotto dal contesto senza rischio di fraintendimenti, usarle non è un problema.
Usa sostantivi e pronomi neutri, collettivi o astratti
Cariche generiche e pronomi neutri
Se per definire un gruppo di 2 dottori e 3 dottoresse usiamo “dottori”, non commettiamo un errore di grammatica. Ma di nuovo, il maschile “neutro” omogeneizza la diversità e veicola un’informazione parziale. E lo stesso motivo, non dobbiamo definirlo nemmeno con “dottoresse”. In questi casi, la soluzione migliore è usare termini che definiscono cariche, posizioni o ruoli in modo generico. Ecco qualche esempio (i termini con l’asterisco sono intesi al maschile).
– dottori – infermieri | – medici, personale medico, équipe medica – personale infermieristico |
tecnici | personale tecnico |
segretari | segreteria |
professori, docenti*, insegnanti* | corpo docente, personale docente, corpo insegnante |
studenti | classe |
dipendenti*, lavoratori | personale |
assistenti* di bordo | personale di bordo |
dirigenti, presidenti | dirigenza, presidenza |
attori | cast |
Ricorda però che a volte i sostantivi collettivi possono essere troppo generici o addirittura ambigui. “Presidenza” può indicare tanto “il presidente” quanto un ufficio composto dal presidente e i suoi collaboratori. Allo stesso modo, è sconsigliabile usare “reparto ospedaliero” per riferirsi solo al personale medico: questo nome include anche altri tipi di operatori sanitari. Se non vuoi perdere in precisione, potresti dover utilizzare un’altra strategia, come ad esempio lo sdoppiamento (lo vediamo nel prossimo punto).
Oltre ai sostantivi collettivi, ci possono venire in aiuto anche i pronomi indefiniti.
I candidati al concorso devono… | Chi partecipa al concorso deve… |
Gli aventi diritto alla promozione possono… | – Chiunque abbia diritto alla promozione può… – Coloro che hanno diritto alla promozione possono… |
Uomo, persona, individuo
I termini “uomo” e “uomini” possono essere considerati neutri se usati in espressioni idiomatiche. Qualche esempio:
- A passo d’uomo
- A misura d’uomo
- Il lavoro nobilita l’uomo
Lo stesso vale se usati nell’accezione di “essere vivente”, “essere umano”, “genere umano”, “umanità”, “persona”, “individuo” e “soggetto”: tutte ottime soluzioni per evitare riferimenti di genere. Al contrario, non sono considerati neutri se descrivono una categoria di individui oppure professioni e figure stereotipate. Qualche esempio:
- Uomini d’affari
- Uomo della strada
- Uomini politici
In casi simili, bisogna utilizzare un termine collettivo neutro (se esiste) oppure espandere la categoria includendo per lo meno il genere femminile (esempio: uomini e donne d’affari/imprenditrici e imprenditori).

Coniuge, partner, coppia
E se ci dobbiamo riferire a una coppia o tradurre parole ambivalenti come spouse o partner? “Coniuge” è una soluzione neutra per evitare “marito” o “moglie”, ma appunto funziona solo in caso di matrimonio. Al contrario, “partner” ci permette di riferirci tanto a coppie sposate quanto a coppie di fatto o dello stesso sesso, unioni civili e così via, ma purtroppo può essere declinata tanto al maschile quanto al femminile. Può aiutarci comunque nei moduli o nelle risposte chiuse ai sondaggi, in cui magari possiamo evitare gli articoli e le preposizioni. In altri casi, può venirci in aiuto la stessa parola “coppia” o una perifrasi.
Your spouse name: | Nome del coniuge: |
Who you’re traveling with? – Alone – Partner – Friends | In compagnia di chi sta viaggiando? – Nessuno – Partner – Amici |
What about spending a romantic evening with your loved one? | – Che ne pensi di una romantica serata di coppia? – Perché non trascorrere una serata romantica con la persona che ami? |
La soluzione migliore dipenderà sempre dal grado di precisione che devi fornire o hai a disposizione. Se è necessario far riferimento al matrimonio, non userai “partner” o “coppia”, ma se per esempio devi scrivere o tradurre il testo di un’offerta promozionale destinata a qualsiasi tipo di coppia, “coniuge” potrebbe essere troppo specifico. Ancora una volta, il contesto è tutto.
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Cliente, utente e altre parole ambigenere
“Partner” è un sostantivo di genere comune, come “rappresentante”, “referente” o “presidente”. Se ti occupi di scrittura o traduzione tecnica, userai spesso “cliente” e “utente”, altre due parole che si possono declinare al maschile o al femminile. Come per “uomo”, il maschile non è considerato marcato se ci riferiamo alla categoria in generale. Se però vogliamo fare un passo in più, possiamo aggirare articoli e preposizioni con le soluzioni che abbiamo visto fino ad ora.
Oltre 10.000 clienti serviti nel 2019 | Nel 2019 abbiamo servito oltre 10.000 clienti |
Facciamo felici i nostri clienti | Facciamo felice la nostra clientela |
L’app è stata scaricata da moltissimi utenti in poche ore | L’app è stata scaricata da un gran numero di utenti in poche ore |
I rappresentanti di Camera e Senato hanno votato… | Rappresentanti di Camera e Senato hanno votato… |
Bisogna valutare caso per caso se la frase si può neutralizzare senza cambiarne troppo il taglio o renderla meno leggibile.
Se lavori nell’ambito della localizzazione avrai spesso a che fare con i segnaposto o placeholder, elementi di codice dinamici di solito codificano per una stringa di testo o un numero. Quando ci registriamo a un portale o a un’app, di norma dobbiamo fornire informazioni quali nome e cognome o nickname, indirizzo email e così via. Il nome viene usato in messaggi e notifiche, che possono contenere elementi declinabili tanto al maschile quanto al femminile: nel gestire i segnaposto, dobbiamo fare attenzione ai possibili problemi di concordanza di genere.

È raro che ci venga chiesto di specificare il nostro genere, anche perché creare una libreria di stringhe al maschile e una al femminile richiede un enorme impiego di risorse: significa raddoppiare spazio di archiviazione, capacità di elaborazione e il lavoro necessario per eventuali aggiornamenti. Una serie di rogne che persino le aziende tecnologiche più grandi preferiscono risparmiarsi o anche solo ridurre al minimo. Facebook ad esempio offre tre opzioni per il genere al momento della registrazione, ma nei contenuti online utilizza anche soluzioni di comodo come la barra obliqua.

Non è il massimo dal punto di vista della leggibilità, ma per lo meno permette di evitare problemi di accordo. In altri casi, tipo in frasi più lunghe, potrai trovare delle perifrasi.
[nome] è stato rimosso dal gruppo di lavoro | Hai rimosso [nome] dal gruppo di lavoro |
[nome] aggiunto alla chat | Ora [nome] fa parte della chat |
[nome] ti ha taggato in una foto | [nome] ha aggiunto una foto con te |
Ancora una volta, dovrai valutare caso per caso quale sia la soluzione migliore. Ad esempio, “hai rimosso” va bene solo se a farlo è stato effettivamente l’utente, altrimenti sarebbe un errore.
Usa i sostantivi in modo simmetrico
Categorie di persone
Un modo per rendere visibile il femminile è l’uso simmetrico del genere tramite lo sdoppiamento del sostantivo.
Gli infermieri hanno scioperato per otto ore | Infermieri e infermiere hanno scioperato per otto ore |
Cari soci, grazie per essere qui | Cari soci e care socie, grazie per essere qui |
Questa soluzione ha pregi e difetti. Nel caso in cui un sostantivo collettivo sia troppo generico o non esista, ci permette di mantenere la precisione o evitare perifrasi non naturali. D’altro canto, non sempre c’è abbastanza spazio per usare entrambi i generi e in testi lunghi potrebbe appesantire la lettura. Ecco perché l’uso del maschile “neutro” per indicare una categoria di persone non dovrebbe essere considerato sempre una scelta discriminatoria: a volte è solo una questione di economia.

Se utilizzi lo sdoppiamento, uno stratagemma per alleggerire un po’ la lettura è anteporre il sostantivo femminile e usare solo il participio maschile:
Solo le studentesse e gli studenti promossi alla prima prova possono accedere all’esame finale
Il maschile “promossi” è giustificato dalla contiguità al sostantivo “studenti” e non è marcato dal punto di vista del genere.
Fratelli e sorelle, cugini e cugine
Un caso in cui lo sdoppiamento è sempre necessario è la traduzione di sibling. Questa parola inglese indica tanto “fratello” quanto “sorella” e non ha un corrispettivo italiano. O meglio, ci sarebbe, ma è un sostantivo desueto e sconsigliato anche dall’Accademia della Crusca: “germano”. Per non dare per scontato che stiamo parlando solo di fratelli maschi, dobbiamo usare “fratelli e sorelle” oppure “fratelli o sorelle”.
Do you have any siblings? | Hai fratelli o sorelle? |
I have three siblings | Ho tre fratelli e sorelle |
Lo stesso si applica anche ad altri gradi parentela (zii, cugini e così via). Sempre ammesso che non sappiamo il numero preciso di maschi e femmine.
Declina i nomi delle professioni in base al genere della persona
L’aspetto più controverso dell’inclusività linguistica
La declinazione al femminile di professioni e cariche è forse l’aspetto del linguaggio inclusivo più noto al grande pubblico, grazie soprattutto alle polemiche che riesce ancora a suscitare. Una delle più note risale al 2016: durante una seduta, la Presidente della Camera Laura Boldrini avrebbe preteso da un deputato che si rivolgesse a lei come “presidenta”. In realtà chiese di usare l’espressione “signora presidente”, che al contrario di “presidenta” è corretta dal punto di vista grammaticale. Di fatto la notizia fu montata e cavalcata da chi vedeva come una forzatura l’innovativo uso di “ministra”, “deputata” e altri femminili professionali promosso da Boldrini durante il suo mandato, ignorando però che il dibattito è tutt’altro che nuovo: se ne parla almeno dalla seconda metà degli anni Ottanta.

La declinazione al genere femminile è la logica conseguenza della comparsa di donne in posizioni prima riservate agli uomini. Forme come “sindaca”, “assessora” o “avvocata” non sono neologismi: semplicemente, fino a un certo punto della nostra storia non sono state necessarie perché descrivevano concetti che non esistevano. E non solo: dal punto di vista grammaticale, non andrebbero utilizzate a piacere. A rigor di logica, per definire un soggetto femminile occorre usare il femminile. Ma riguardo a quest’ultima considerazione, bisogna citare il fatto che nemmeno tra le donne c’è accordo. Nel 2019, sempre durante un dibattito alla Camera, una deputata ha chiesto di essere chiamata “deputato” perché è suo diritto autodefinirsi come preferisce. Se da un lato è giusto rispettare la volontà delle persone, dall’altro bisogna chiedersi quanto l’argomento sia stato usato in modo pretestuoso per scontrarsi sul piano sociopolitico. Ma esempi di questa preferenza si possono trovare anche in altri strati della popolazione femminile.

Un problema più socioculturale che linguistico
Come sostiene Vera Gheno, vale la pena domandarsi perché questo argomento sia capace di creare così tanto fastidio persino alle donne:
Ci sarebbe bisogno di una riflessione collettiva sull’importanza non solo di essere donne, ma anche sul motivo per cui la questione linguistica porta a esprimersi con tanto livore nei confronti di altre donne che, per motivi professionali e di preparazione specifica, riflettono in maniera approfondita sull’argomento.
Trovare una sintesi tra le diverse posizioni in merito ai femminili professionali è difficile, forse impossibile. Di certo non si può imporre né di usarli né di non usarli. In generale, le motivazioni del no si basano su pilastri un po’ traballanti dal punto di vista linguistico, tipo la cacofonia (“Suonano male”), l’esperienza personale (“Mia cugina si fa chiamare avvocato”) o la presunta necessità di cambiare tutte le parole a cascata (“E allora usiamo anche pediatro* o guardio*“). Per chi ha dimestichezza con la grammatica e la linguistica, ridimensionare obiezioni simili richiede pochi secondi. Se fai parte del fronte del sì, puoi provare a fare un lavoro di sensibilizzazione sul tema, ma sempre nel rispetto dell’opinione e del grado di consapevolezza delle altre persone.
Quello che un linguista può dire, anzi, spiegare, è che è senza dubbio corretto usare i femminili professionali, ma non si può affermare categoricamente che sia sbagliato non usarli: ognuno scelga per sé ma, soprattutto, rispetti la posizione di chi la pensa diversamente. […] Penso che oggigiorno ci sia posto per tutti, e che affermare la correttezza linguistica (e sociale) dei femminili professionali non equivalga certo a dire che usare il maschile sia sbagliato tout court.
Vera Gheno – Femminili singolari
Quando e come usare i femminili professionali
Torniamo agli aspetti pratici: quando e come vanno usati i femminili professionali? Se ci riferiamo a professioni o funzioni in astratto e organismi, il maschile “neutro” può non essere considerato marcato:
Una misura per aiutare traduttori e interpreti
Per maggiori informazioni, contatta l’amministratore
I Commissari europei si sono riuniti questa mattina per discutere…
Se lo riteniamo necessario, nulla ci vieta di raddoppiare il termine (anche se come abbiamo visto, l’uso simmetrico ha vantaggi e svantaggi). Se il genere della persona è noto, va usato il genere grammaticale corrispondente. Ciò significa che dobbiamo concordare articoli, preposizioni, participi e così via, ma anche cambiare il suffisso dei sostantivi.
il presidente | la presidente |
il relatore | la relatrice |
il commissario | la commissaria |
Per la formazione del femminile, seguiamo le normali regole grammaticali e usiamo le desinenze -a, -trice, –aia e così via. Evita l’uso del suffisso –essa, che può essere frainteso con “la moglie di” e talvolta ha connotazione spregiativa, come ad esempio in “presidentessa” o “sindachessa”. Ciò non si applica ai sostantivi già pacificamente affermati nell’uso, come “professoressa”, “poetessa”, “studentessa” o “dottoressa”: per buonsenso linguistico, è sconsigliabile intervenire per cambiarli.

Un caso particolare sono i nomi composti con capo-, che variano in base alla funzione che svolge il prefisso: se designa “il capo di qualcosa”, si cambia solo l’articolo; se designa “il capo di qualcuno”, può essere necessario cambiare anche il suffisso della parola composta.
– il capounità – il capogruppo | – la capounità – la capogruppo |
il caporedattore | la caporedattrice |
In caso di dubbio su come formare un femminile puoi:
- Consultare una grammatica affidabile
- Cercare tra le consulenze dell’Accademia della Crusca
- Leggere le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo di Cecilia Robustelli
- Dare un’occhiata a questo approfondimento sulla parola “femminile” dal sito della Zanichelli
Evita l’articolo prima dei cognomi di donne e usa titoli simmetrici
Restiamo nell’ambito in cui conosciamo il genere della persona di cui o con cui stiamo parlando. Quando ci riferiamo a un uomo e una donna in terza persona, occorre usare titoli o formule di cortesia in modo simmetrico. Sconsigliabile anche l’uso dell’articolo “la” prima dei cognomi di donne.
il dottor Bianchi e la signora Rossi | il dottor bianchi e la dottoressa Rossi |
– la Merkel e Trump – la signora Merkel e Trump – Angela Merkel e Trump | – Merkel e Trump – la signora Merkel e il signor Trump – Angela Merkel e Donald Trump |
Un’altra norma affermata ormai dagli anni Ottanta non solo in Italia è l‘uso del titolo “signora” anche per donne non sposate, promosso per equilibrare l’unica forma maschile (un uomo non sposato è sempre “signore”).

Fai attenzione a stereotipi e pregiudizi di genere
Spostiamoci dalla grammatica al contenuto. Esistono numerose espressioni comuni che tradiscono una visione stereotipata del mondo, polarizzata sulla dicotomia maschio forte e lavoratore versus donna debole e custode del focolare domestico. Qualche esempio:
- Donnicciola indica un uomo pauroso e debole
- Maschiaccio indica una ragazza turbolenta e vivace
- Un uomo che pulisce è la donna di casa
- In una coppia, una donna con il carattere forte porta i pantaloni
Lo stesso si può dire per alcuni proverbi:
- Chi dice donna dice danno
- Donna al volante, pericolo costante
- Mogli e buoi dei paesi tuoi
L’elenco potrebbe continuare e includere anche parole o espressioni dal sessismo più subdolo. Per quanto riguarda le professioni, è vero che alcune sono state storicamente ad appannaggio di uno o l’altro genere, ma dobbiamo evitare che questi stereotipi continuino a propagarsi e illustrare un mondo che non esiste più. Ciò significa non dare per scontato che nurse sia “infermiera” o secretary sia “segretaria”, giusto per fare un paio di esempi in traduzione. Come abbiamo visto nel secondo e terzo punto della guida, abbiamo varie soluzioni per evitarlo. E nella scrittura in generale, significa non considerare le donne in modo paternalistico, specie quando si parla di professioniste. L’accento deve andare sulle capacità e non sull’essere donna di per sé.

Che fare se un testo sorgente o il brief per un copy contiene degli stereotipi di genere? In qualità di consulenti culturali ancora prima che linguistici, dobbiamo farlo notare. Certo, non è sempre possibile e non è detto che il nostro parere venga apprezzato, ma non sollevare il problema è una resa a priori dal punto di vista ideologico e professionale. E considera che sono dettagli che possono anche danneggiare l’immagine del cliente finale: vedi le polemiche suscitate nel 2015 dallo spot della Huggies in cui le bambine pensano “a farsi belle” e i bambini “a fare gol”.
Attenzione però: nulla vieta di usare gli stereotipi con ironia. Si può scherzare su tutto, persino sulla morte: vedi l’attività sui social network di Taffo Funeral Services. Ma l’operazione deve essere fatta con cura, cognizione di causa e uno stile coerente (o in totale rottura) con il brand per cui stai scrivendo, proprio in virtù del potenziale esplosivo di questa materia.
Quando il contesto lo richiede, valuta se rompere la norma
Il genere non binario nella cultura popolare
Come ultimo punto, vediamo il caso più particolare. Fino a ora abbiamo visto degli scenari canonici, in cui consideriamo solo il genere maschile e quello femminile. Ma come possiamo riferirci a una persona o un personaggio di un genere non binario? Questo problema può essere meno astratto e irrealistico di ciò che sembra. Vediamo un esempio.

Questo libro interattivo della serie Steven Universe domanda a chi legge quale sia il suo genere di riferimento: tradurre l’opzione they/them lo è un problema non da poco per le lingue come l’italiano o lo spagnolo. E infatti, nella versione spagnola il pronome neutro è stato rimosso: una soluzione economica dal punto di vista linguistico che però rende invisibile (e scontenta) una parte di pubblico.
Non è solo una disattenzione verso una parte di audience, ma anche un tradimento del franchise. Questo cartone tocca spesso tematiche LGBTQ+ e lo stesso protagonista ha una versione intersessuale, Stevonnie, che in inglese viene trattata proprio con i pronomi they/them. In italiano, invece, vengono usati solo quelli femminili. Ma in questo caso particolare tanto il genere maschile quanto il femminile può essere considerato un errore, perché in qualche misura appiattisce la sua peculiarità.
Gli esempi di artisti o personaggi simili nel mondo letterario, videoludico e audiovisivo sono numerosi. Ad esempio, nella serie Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina troviamo Theo (Susie) Putnam, un ragazzo transgender interpretato da Lachlan Watson, persona che a sua volta non si riconosce in un genere binario. Tradurre un dialogo tra Theo e un altro personaggio oppure scrivere di Lachlan ci pone di fronte a un problema: a quale genere dobbiamo fare riferimento? Se scegliamo quello biologico, perdiamo una sfumatura importante. Se scegliamo quello in cui si identifica, dobbiamo fare le capriole per evitare il maschile e il femminile (come ho fatto fin qui, con molta fatica). Sarebbe comodo avere una terza opzione, ma in italiano non esiste. O almeno, non sui libri di grammatica.

Le proposte su come cambiare la norma in italiano
Viene da domandarsi: ma se una lingua non ha pronomi neutri, si possono modificare quelli esistenti o inventarne dei nuovi? E a chi spetta questa decisione? Proviamo a guardare cosa succede al di fuori dell’Italia.
- Nei paesi anglofoni si è affermato in modo spontaneo il singular they come pronome non marcato. Da diversi anni è considerato corretto e preferibile anche da importanti istituzioni linguistiche e il 3 gennaio 2020 è stato scelto come parola del decennio dalla American Dialect Society.
- Nel 2015, in Svezia è stato aggiunto al dizionario il pronome neutro hen, creato attorno agli anni Sessanta a partire dal maschile han e dal femminile hon. La decisione è sì arrivata dall’Accademia svedese, ma non si tratta di un’imposizione: l’uso del neutro era già diffuso tra la popolazione, almeno tra quella con un certo grado di cultura. Per fare un esempio, Kivi & Monsterhund, un famoso libro per bambini in cui viene usato il pronome hen, è del 2012.
- In Spagna è diffuso l’uso elle in luogo di él o ella. La stessa desinenza -e viene usata in sostituzione di -o e -a, che come in italiano designano maschile e femminile: al neutro, todos diventa todes. Nonostante diverse petizioni, la Real Academia Española non ha ancora ritenuto necessario aggiornare le grammatiche o i dizionari di conseguenza.
In Italia la situazione è variegata: ci sono diversi approcci e proposte con un diverso grado di adozione. Nell’italiano scritto è abbastanza diffuso l’uso dell’asterisco per troncare la vocale finale:
Grazie a tutt*, spero vi siate divertit*
Una soluzione pratica dal punto di vista grafico, ma difficile da trasporre nell’orale, come anche la chiocciola. Al contrario, l’uso della lettera -u come desinenza neutra è diffuso tanto allo scritto tanto al parlato:
Grazie a tuttu, spero vi siate divertitu
Anche questa soluzione è piuttosto pratica, visto che la -u non corrisponde ad alcun genere noto e non è utilizzata come desinenza finale né al singolare né al plurale, ma ha delle limitazioni:
- Crea confusione tra singolare e plurale, poiché manca una sesta vocale base che permetta di definire con precisione il numero (tuttu è tanto singolare quanto plurale).
- Ricorda il suono di alcune lingue regionali, come il sardo o il salentino, in cui tra l’altro ha in genere una connotazione maschile.
- Il suono è sbilanciato verso la -o e rischia di creare uno squilibrio percettivo verso il genere maschile.
- Come si accordano di conseguenza articoli, preposizioni e apostrofi?
I problemi dell’asterisco e della desinenza -u hanno portato alla nascita di una proposta di italiano inclusivo basata sulla schwa per il singolare (ǝ) e la schwa lunga per il plurale (з). Di norma usiamo solo sette vocali: la a, la e aperta e chiusa, la i, la o aperta e chiusa e la u. Ma dato che possiamo pronunciarne di più, ne avremmo altre a cui assegnare il genere neutro.

La scelta è ricaduta sulla schwa perché:
- È abbastanza distante nella pronuncia dalle sette vocali classiche.
- È un suono usato in alcune lingue regionali, in inglese e in francese, quindi facilmente assimilabile dal grande pubblico.
Sostantivi, aggettivi, pronomi e altre parti del discorso che cambiano in base al genere andrebbero declinate di conseguenza nelle sei varianti.
– amico – amici | – amica – amiche | – amicǝ – amicз |
– caro – cari | – cara – care | – carǝ – carз |
lui | lei | lзi |
Questa proposta è ben strutturata, ma per paradosso proprio questo livello di dettaglio potrebbe risultare un limite alla sua adozione. Ad esempio: se la schwa è diffusa in alcune lingue regionali o straniere, significa che chi non le parla o non ha dimestichezza con la loro fonetica potrebbe avere difficoltà a pronunciarla. Dovrebbe studiare e fare pratica prima di riuscirci in modo naturale. E pensiamo anche allo scritto: dovremmo reimparare a usare articoli, preposizioni articolate e apostrofi. Ma d’altro canto, qualsiasi passo verso una rottura della norma richiederebbe un certo grado di lavoro.
Se sei (o diventerai) del team schwa, puoi dirlo al mondo con questi articoli. Trovi il link al negozio alla fine della guida.
Un’altra soluzione è l’uso del “loro” sul modello del singular they. Se da un lato sembra abbastanza apprezzata da alcune persone delle comunità LGBTQ+, dall’altro può essere scambiato per un pronome allocutivo e suonare molto, molto formale. Penso di aver conosciuto una sola persona che usava il “loro” come formula di cortesia: era uno dei miei professori all’università, un uomo sull’ottantina. Faceva lezione con i lucidi per proiettore, che raccoglieva in una cartellina di finta pelle tutta lisa e scrostata. Il “loro” lo sentivo antico proprio come quella cartellina, ed era il 2007. Ciò non toglie che non possa rientrare nell’uso, ma questo dettaglio potrebbe essere uno scoglio abbastanza grande da superare.
Una rivoluzione possibile ma non scontata
A tutte queste proposte si possono avanzare le stesse obiezioni: suonano male, non esistono, sono inventate a tavolino, sono sgrammaticate, non ce n’è bisogno, sono brutte. Ricordano un po’ quelle che hanno accompagnato la diffusione di alcuni femminili professionali, con la differenza che per ora sgrammaticate lo sono davvero. Ma la norma non tiene conto di elementi come il gusto personale e la cacofonia, semmai di concetti come l’utilità e l’economia. E la norma la creano le persone parlanti e scriventi in un determinato periodo storico, non viene imposta dall’alto: se queste lo reputano necessario, hanno il potere di cambiarla.

La fortuna di forme agrammaticali o inusuali come la desinenza -u, la schwa o il “loro” singolare dipenderà dalla loro adozione e diffusione, tanto nella comunità LGBTQ+ quanto nel resto della società. Una delle funzioni della lingua è rappresentare la realtà: se esistono persone di genere non binario, prima o poi esisterà un modo più o meno normato per definirle. Forse attecchiranno tutte, forse nessuna, forse un’altra ancora. Forse tra dieci o quindici anni avremo in Parlamento una persona che chiederà di essere definita ministru o deputatǝ, vuoi perché non si riconosce nel genere maschile o femminile o per sensibilità verso il linguaggio inclusivo. Nulla garantisce che avrà la stessa diffusione di “ministra” e “deputata”, ma nemmeno che la proposta cadrà nel vuoto.
Cosa fare nel frattempo
In attesa che si attesti una forma, per rivolgerci in modo diretto ed equo alle persone di un genere non binario è consigliabile optare per neutralità e ascolto. Evitiamo di usare il maschile o il femminile e facciamo attenzione ai pronomi o alle desinenze che la persona usa per riferirsi a sé stessa: non sbaglieremo. Nei testi che scriviamo per un pubblico eterogeneo, che sia una traduzione o uno stato di Facebook, la soluzione migliore per includerle è la neutralità. Per contro, se l’accento sul non‑binarismo non è trascurabile, possiamo anche valutare di rompere la norma. Riprendiamo l’esempio di Steven Universe: in un prodotto simile, l’uso della desinenza -u, della schwa o del loro potrebbe rientrare in un codice noto e coerente con le tematiche del cartone. Certo è una scelta da ponderare e da proporre al committente prima di prendere l’iniziativa.
Considerazioni finali
Una questione di equilibrio
Nonostante tutti gli strumenti offerti dalla nostra lingua e tutti i suggerimenti di guide come questa, trovare l’equilibrio tra neutralità, chiarezza, economia e naturalezza può essere difficile. In questi casi deve intervenire la tua sensibilità verso il pubblico per cui stai scrivendo. Usare un linguaggio inclusivo significa far sì che un testo sia adatto a più persone possibile. Non deve trasformarsi in un incubo. Servono solo una buona dose di attenzione durante la stesura e una buona fase di rilettura. Ma non è così per ogni tipo di lavoro di scrittura?
D’altro canto, quando traduciamo o scriviamo per lavoro, dobbiamo saper stare a ciò che ti viene chiesto e rispettare budget e scadenze. Se il committente non vede la necessità di avere contenuti neutri, ha senso impiegare più tempo e fatica del previsto per consegnarglieli? Sta a te valutare. Piuttosto, anche quando non te lo richiedono, puoi proporre l’utilizzo di un linguaggio inclusivo come valore aggiunto, magari portando come esempio le aziende che hanno già scelto di riferirsi a un target più vario dal punto di vista del genere. Se hai la fortuna di poter scrivere le guide di stile dei tuoi clienti, potresti provare ad aggiungere una sezione dedicata all’inclusività. Tentar non nuoce.
Ci saranno anche casi in cui non avrai molto spazio di manovra. Ad esempio, l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha creato dei modelli standardizzati per il riassunto delle caratteristiche dei farmaci. Attenersi al modo in cui sono formulate le indicazioni è un requisito legale. Per tradurre un contenuto simile dovrai seguire il modello italiano, in cui si dà del lei a chi legge ma si usano parole come “paziente”, “utilizzatore”, “infermiere”, “bambino” e “allergico” al maschile. Se il farmaco è destinato solo alle donne si può declinare tutto al femminile, ma se non è specifico per l’uno o l’altro genere ha precedenza il maschile “neutro”, considerato non marcato. Non si scappa.
Un altro elemento di cui devi tener conto è la visibilità e lo scopo del testo, sia nel suo complesso che nelle sue singole porzioni. Non giriamoci troppo attorno: l’oggetto di un’email o il claim di una pubblicità ha un obiettivo e un impatto emotivo diversi rispetto a, per dirne una, la sezione sulla compatibilità elettromagnetica del manuale di un dispositivo medicale. Ciò non significa che anche i testi tecnici non possano avere un linguaggio chiaro e inclusivo, ma avere consapevolezza del mezzo e dell’esposizione di ciò che scrivi può aiutarti a scegliere su quali parti concentrarti quando devi rispettare un budget.
Quando non scriviamo per lavoro
Fino a ora abbiamo parlato di lavoro e denaro, ma per concludere allarghiamo un po’ la prospettiva. Usare un linguaggio inclusivo è consigliabile anche nella vita di tutti i giorni. Siamo esseri sociali e non ci muoviamo nel vuoto stagno: curare il modo in cui ci esprimiamo può essere visto perlomeno come un atto di considerazione e gentilezza verso chi ci legge o ascolta, specie quando non sappiamo chi è. Piccoli gesti quotidiani come usare “ti diamo il benvenuto” o evitare il “signorina” possono pian piano arrivare a influenzare la realtà, abituando l’orecchio e le persone a una lingua più inclusiva. Senza dimenticare che, come abbiamo visto in un altro articolo, usare un linguaggio inclusivo può contribuire a ridurre il bias di genere in applicazioni dell’intelligenza artificiale che usiamo di continuo, come la traduzione automatica o i motori di ricerca.

Non serve essere ministri o influencer da milioni di follower: tutti noi scriventi possiamo dare un contributo e, una parola dopo l’altra, rendere il nostro intorno sociale un po’ più equo. Possiamo fare la nostra parte in qualsiasi momento, da quando scriviamo per lavoro a quando pubblichiamo uno stato su Facebook. L’equità non è un obiettivo astratto e utopistico come sembra: uno studio del 2019 condotto in Svezia, paese dove la neutralità di genere si insegna anche a scuola, suggerisce una correlazione tra l’uso del pronome neutro hen e una riduzione dei comportamenti sessisti. Anche questo è il potere delle parole.
Fonti, ringraziamenti e consigli di lettura
Per scrivere questa guida mi sono ispirato alle indicazioni sul linguaggio inclusivo del Parlamento europeo, del Segretariato generale del Consiglio europeo e dell’Ayuntamiento di Barcellona, specifiche per lo spagnolo ma utili anche per l’italiano. Devo inoltre ringraziare:
- Vera Gheno, di cui ti consiglio di leggere Femminili singolari – Il femminismo è nelle parole
- Isabella Massardo, che su dati, algoritmi e bias di genere consiglia Invisible Women – Exposing Data Bias in a World Designed for Men di Caroline Criado Perez
- Noemi Santarella, per i tanti spunti sul tema dell’equità di genere e il non-binarismo. A riguardo, consiglia di leggere P. La mia adolescenza trans di FumettiBrutti e Non sono sessista ma… di Lorenzo Gasparrino.
- Silvia Barra, per la consulenza sui modelli EMA
- Gabri, Cece e Lily per la rilettura e i pareri
In diversa misura, hanno tutte dato un contributo fondamentale a questo lavoro.
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Foto di copertina: 200 Degrees da Pixabay
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Grazie molto completo e molto chiaro (il testo)
Lo ripubblico domani citando la parte EMA sulla pagina #Amigay che parla di questioni sanitarie….
Tuttavia nel mondo LGBTI questa è diventata ragione di lotte intestine tra persone LGBTI come sulle non meno complesse e ridondanti autodefinizioni.
Può aiutarci a dare una lettura anche alla complessità delle autodefinizioni e delle necessità di classificazione ad esempio in medicina o in psicologia o in sociologia o negli atti burocratici?
Grazie
Grazie per questo articolo! Riguardo all’idea di rompere la norma per i generi non binari, segnalo questo mio articolo in inglese a proposito della traduzione del singular they: https://thelinguist.uberflip.com/i/1149191-the-linguist-58-4-aug-sept-2019/7?m4=
E pensare che non avevo letto da nessuna parte la possibilità di usare la schwa, si vede che è una soluzione abbastanza naturale per chi mastica un po’ di linguistica!
Ho letto l’articolo, grazie per il contributo! E che coincidenza l’uso della schwa. Trovo curioso che persone diverse siano arrivate alla stessa conclusione senza parlarsi. Chissà che pian piano non si affermi come alternativa al maschile e femminile.
Post molto interessante ed esaustivo!
Mi chiedo soltanto una cosa: la soluzione dell’uso simmetrico non rischia comunque di escludere i non binari? Mi trovo a tradurre un videogioco e si suggerisce al giocatore di “ask a friend”. In questo caso, “chiedere a un amico o a un’amica” non sarebbe comunque una forma escludente rispetto ai non binari? In linea generale ho potuto usare altri escamotage per evitare il genere, ma mai la schwa o simili, quindi utilizzarla solo in un caso o in pochi casi all’interno del videogioco non avrebbe senso. Avevo pensato a “un membro del tuo gruppo di amici”, ma comunque con “amici” si utilizza il maschile con valenza neutra.
Qualche consiglio?
Grazie mille!
Sì, l’uso simmetrico esclude i generi non binari. Le varie strategie hanno pregi e difetti; la neutralità, ad esempio, se da un lato include tutti i tipi di persone, dall’altro “nasconde” la diversità, che è comunque un valore.
“Amico” è una parola difficile da neutralizzare. Nei videogiochi e nelle applicazioni in genere non c’è molto spazio, quindi ci si deve “arrendere” al maschile sovraesteso. Per esperienza personale, anche i clienti che chiedono di usare un linguaggio gender-neutral prevedono una priorità. Un maschile sovraesteso in un’interfaccia utente è più accettabile di uno in un’email.
Sebbene non sia contraria all’uso inclusivo di declinare i nomi delle professioni in base al genere, per quanto riguarda la mia di architetto rimango dell’idea esposta nel riquadro proposto. Purtroppo anni di svilimento di “-tetta” con battute allusive l’attributo fisico femminile, quasi fosse un plus integrante le competenze di categoria, me l’ha fatto cadere in disgrazia. E ormai ho una certa età.
Come ogni cosa vale il contesto e l’equilibrio ma personalmente mi firmo ancora con la “o”.
Grazie per questo articolo e relativi riferimenti, mi piace molto l’idea di prendere dimestichezza con l’inclusione e la valorizzazione anche nel quotidiano. Missione non facile.
Riprendo un post su Facebook di Vera Gheno di un paio di settimane fa:
Durante una partita, uno degli spettatori urla FALLO!.
Nessuno fa nemmeno un plissé, nessuno lo guarda con riprovazione o perplessità perché ha usato un termine casualmente identico a uno dei tanti sinonimi del membro virile.
Arriva la persona che deve progettarti casa e si presenta come l’ARCHITETTA Rossi: ridiventano tutti dei piccoli Pierino quinquenni che hanno appena scoperto la carica comunicativa esplosiva di CACCAPUPÙ; si danno di gomito, sorridono sornioni, gesticolano a indicare la dimensione delle (archi)tette dell’architetta.
Morale della favola? Boh. Traiamole insieme.
Non so se basterà a farti riconsiderare l’uso della -a, ma mi è venuto subito in mente. 🙂
Innanzitutto grazie per avers scritto questo articolo estremamente interessante! Vorrei fare una domanda. Giorni fa, discutendo con i miei amici su questioni di linguaggio inclusivo, mi è venuto in mente il mio professore che, entrando in una classe in cui c’erano più donne che uomini, ha salutato dicendo “Buongiorno ragazze”. Nella discussione io difendevo il mio professore sostenendo che fosse corretto, mentre i miei amici non sembravano convinti e ora non riesco a trovare effettivamente un documento che confermi la mia tesi. Inoltre, nonostante questo articolo sia estremamente chiaro su molti aspetti del linguaggio inclusivo, mi sembra che non riporti tale caso (o un caso simile). Posso chiedere cortesemente un chiarimento?
Ciao Maria Teresa. In effetti la guida non tocca l’argomento femminile sovraesteso: rimedieremo presto. Alma Sabatini lo consiglia per i gruppi a prevalenza femminile. Non è mai diventato una consuetudine e in qualche caso può suonare strano o essere inteso come escludente nei confronti dei maschi, proprio come il maschile sovraesteso nei confronti delle femmine. Dipende molto dalla sensibilità di ciascuna persona. Credo che in una situazione come la tua debba prevalere il dialogo: se la quota di maschi non è d’accordo, allora si potrebbe concordare una soluzione a metà strada tipo “Buongiorno ragazze e ragazzi”. Cosa ne pensi?