Linguaggio inclusivo in italiano: guida pratica per chi scrive per lavoro (e non)
Strategie per creare testi equi dal punto di vista del genere
Se lavori nell’ambito della traduzione o della comunicazione, potresti dover scrivere in modo inclusivo come specifico requisito di progetto. Farlo in italiano non è semplice, ma nemmeno impossibile: basta usare la nostra lingua con attenzione e creatività e seguire alcuni suggerimenti, come quelli che troverai in questa guida.
Indice
Una breve introduzione (ma breve per davvero)
Perché utilizzare un linguaggio inclusivo?
Se ti trovi qui, è molto probabile che ti abbiano chiesto di utilizzare un linguaggio inclusivo nelle tue traduzioni o nei testi che scrivi. Saprai quindi che la scrittura inclusiva non è solo una questione ideologica, ma anche molto, molto pratica. Giusto per fare qualche esempio, si applica a contenuti come:
- Portali di assistenza clienti
- Newsletter
- Siti web
- Post per i social media
- Campagne di marketing
- Videogiochi
- Software e applicazioni
- Assistenti personali tipo Siri, Alexa e Bixby
- Chatbot di assistenza
- Sottotitoli di serie televisive
- Saggistica e narrativa
- E altri ancora

Potresti però aver scelto di usare una scrittura inclusiva anche per iniziativa personale. Saprai quindi che il tema dell’inclusività è sempre più presente anche nelle nostre vite. Molti brand stanno cambiando la propria immagine e i propri prodotti per raggiungere un target vario e multiculturale. La Berlinale ha sostituito i premi per il miglior attore e la miglior attrice con il premio per la migliore interpretazione. A partire dal 2024 le pellicole candidate all’Oscar come miglior film dovranno rispettare determinati requisiti di inclusione e diversità. E che dire poi della Chiesa cattolica, che ha modificato il messale in modo da affiancare “sorelle” a “fratelli”?
Con ogni probabilità, saprai anche che tante, tantissime sono le obiezioni che si avanzano nei confronti dell’uso del linguaggio inclusivo, specie quando si parla di tematiche di genere. Forse ne hai qualcuna anche tu. Qualche esempio? “Quante storie, sono solo parole!” Oppure: “Sì OK, ma i problemi sono ben altri!” E ancora: “Ma basta con tutto questo politicamente corretto!” Di rispondere a queste e altre contestazioni se n’è occupata Vera Gheno su Valigia Blu; non potrei fare di meglio. Mi permetto giusto di aggiungere due note legate a una tecnologia onnipresente nelle nostre vite: l’intelligenza artificiale.
La prima è di carattere generale. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale ci offrono vari esempi di come le parole possono avere effetti discriminatori concreti. Nell’aprile 2020 una traduttrice ha segnalato su Twitter che usare traducteur come parola chiave su Linkedin escludeva dai risultati i profili in cui compare traductrice. Il problema sembra esser stato risolto, ma quante donne hanno perso un’opportunità di lavoro nel frattempo? Caso simile quello dell’algoritmo sperimentale di selezione del personale di Amazon, che penalizzava i curriculum contenenti la parola “femminile” e di conseguenza scartava a priori le donne. La sfida per un’intelligenza artificiale più equa e utile a tutte le persone passa anche dal linguaggio.

La seconda è di carattere pratico. Se ti occupi di traduzione, potrebbe interessarti sapere che Google ha modificato l’algoritmo di Google Traduttore per ridurre il bias di genere e offrire traduzioni più inclusive già due volte, nel 2018 e nel 2020, e continuerà a migliorarlo in futuro. Se davvero non vogliamo farci superare dall’intelligenza artificiale, forse vale la pena fare uno sforzettino e preoccuparci anche noi dell’argomento, non trovi?
Alcune premesse e una richiesta
Puntualizziamo subito una cosa: comunicare in modo inclusivo significa tenere conto non solo del genere, ma anche di tutte le sfere del vivere sociale, come orientamento sessuale, etnia, razza, età, disabilità, religione, condizione economica e altro ancora. Forse in un futuro prossimo ristruttureremo questa guida in modo che includa consigli anche su questi aspetti; nel frattempo potresti leggere questo articolo di Alice Orrù o consultare il sito Parlare Civile.
Ciò che troverai in questa guida sono varie strategie per trattare in modo equo il genere nei tuoi testi, in particolare quando si rivolgono a una persona non nota o a un gruppo non omogeneo di persone. La scelta di quali soluzioni usare e in che misura usarle dipende dal contesto e dalla tua sensibilità. Potresti trovare alcune strategie eccessive, altre troppo conservative, altre ancora contraddittorie: è naturale. Se vuoi, in fondo a tutto trovi uno spazio per commenti, suggerimenti e, perché no, critiche. Servono anche queste.

Internet sarà anche piena di “guide definitive” su qualsiasi argomento, ma questa guida non ha la pretesa di essere esaustiva e definitiva. Includere qualsiasi combinazione e caso d’uso è impossibile: anche le indicazioni del Parlamento europeo parlano piuttosto di suggerimenti per la creazione di testi “quanto più possibile rispettosi dell’identità di genere”. Nella pratica, ti imbatterai sempre in nuovi problemi e dovrai cercare sempre nuovi modi per risolverli. Non è stimolante?
Sappi però che, in generale, è consigliabile evitare soluzioni che riducono la leggibilità, come le sbarre e le parentesi. Per capirci, tutti i casi tipo “caro/a” o “inquilini(e)”. Di certo avrai visto usare anche altre scappatoie, tipo l’asterisco (tutt*), la chiocciola (interessat@) o la x (carx). Di queste ultime parleremo nel dettaglio; per ora considera che questi elementi grafici possono trasformarsi più in un impaccio che in una soluzione, ma sono comunque una delle tante strade percorribili, soprattutto in situazioni dove lo spazio è poco.

Altra cosa: lo scopo del linguaggio inclusivo non è eradicare ogni traccia del genere maschile dalla lingua. Vedremo che il maschile sovraesteso “neutro” ha una funzione pratica e spesso è difficile o addirittura impossibile da evitare, a meno di adottare soluzioni non ancora accettate nella norma linguistica, come ad esempio lo schwa. Specie quando scrivi per lavoro, dovrai cercare un compromesso tra neutralità, chiarezza, economia, naturalezza e soprattutto tempo a disposizione. Spero che i consigli di questa guida ti aiutino a trovarlo.
Ultimo punto: puoi utilizzare questa guida come meglio credi, ti chiedo giusto la cortesia di citare la fonte. Se la troverai utile potresti condividerla sui tuoi social network o inviarla alle persone con cui lavori. E se la troverai bella bella in modo assurdo, potresti persino considerare di acquistare uno dei nostri articoli di merchandising per aiutarci a sostenere il progetto TDM. Ma ora basta ciance: iniziamo a vedere strategie ed esempi pratici per scrivere in modo inclusivo.
Aggirare il maschile sovraesteso
Largo alla creatività
Per convenzione grammaticale, il maschile può agire anche come “neutro” per riferirsi a gruppi non omogenei o in comunicazioni dirette a un’audience generale. Ciò nasconde le persone di genere femminile o non binario, un problema sia di precisione che di discriminazione. Per fortuna, la nostra lingua ci offre un sacco di soluzioni per evitare il maschile sovraesteso, come:
- Cambiare il soggetto in modo da non usare un participio passato
- Usare perifrasi
- Cercare sinonimi di verbi, sostantivi e aggettivi
- Cambiare punto di vista della frase
- Omettere sostantivi, pronomi e aggettivi per lasciare che sia il verbo a definire il soggetto
Ecco qualche esempio in cui ho usato una o più di queste soluzioni.
Se non sei sicuro, inviaci un’email | Se hai dubbi, inviaci un’email |
Sei un rappresentante della tua azienda? | Rappresenti la tua azienda? |
Grazie per esserti registrato alla nostra newsletter | – Grazie per aver completato la registrazione alla newsletter – Grazie! Presto inizierai a ricevere la nostra newsletter |
Da 1 a 10, quanto sei soddisfatto del nostro servizio? | –
Da 1 a 10, quanto ti soddisfa il nostro servizio? – Da 1 a 10, che voto daresti al nostro servizio? – Da 1 a 10, come valuteresti il nostro servizio? |
–
Scopri se sei idoneo alla promozione – Complimenti! Ora sei idoneo alla promozione | – Scopri se puoi partecipare alla promozione – Complimenti! Hai ottenuto l’idoneità alla promozione |
Ci dispiace sapere che questo episodio vi ha turbati | Ci dispiace sapere che questo episodio vi ha arrecato un disagio |
Quando sei pronto, fai clic su “Avanti” | Una volta terminata l’operazione, fai clic su “Avanti” |
Sei un traduttore o un copywriter? | – Lavori nel settore della traduzione o del copywriting? – Scrivi o traduci per lavoro? |
Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato | – Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti – Iscriviti alla nostra newsletter per scoprire in anteprima tutte le novità |
Gli uomini e le donne più famosi del momento | Gli uomini e le donne più celebri del momento |
Per evitare il maschile sovraesteso puoi anche usare forme passive o impersonali, ma attenzione a non abusarne: oltre ad appesantire il testo, possono dare adito a confusione e ambiguità.
I candidati devono inviare il proprio portfolio entro… | Il portfolio deve essere inviato entro… |
I dottori hanno operato la paziente per diverse ore | La paziente è stata operata per diverse ore |
In entrambe le costruzioni passive non è palese chi deve compiere o ha compiuto l’azione. Ma se il soggetto può essere dedotto dal contesto senza rischio di fraintendimenti, usarle non è un problema.
Alternative a “benvenuto”

Le formule di saluto sono molto comuni in software, app, newsletter e altri tipi di contenuti. In situazioni simili, usare “benvenuto” significa presumere che dall’altra parte dello schermo o del foglio ci sia un maschio. Anche in questo caso possiamo usare una perifrasi.
Benvenuto/Bentornato | Ti diamo il benvenuto/bentornato |
Benvenuti/Bentornati | Vi diamo il benvenuto/bentornato |
Se hai problemi di spazio, potrebbe andare benissimo un semplice “ciao”. Se ti serve un pelo di formalità in più, potresti usare “gentile”, “buongiorno/buonasera” o “un saluto da [nome azienda]”. In qualsiasi caso, è sconsigliato l’uso di “salve”. Come sostiene Luisa Carrada in Scrivere un’email, questo saluto “esprime genericità, incertezza e imbarazzo”. Posizione che mi ha confermato anche Annamaria Anelli: “È un saluto che non ci mette la faccia. Lo si usa quando non si vuole prendere posizione (ed è un brutto segno)”.
App e software: il regno della perifrasi
Quando ci registriamo a un portale o a un’app, di norma dobbiamo fornire informazioni quali nome e cognome, nickname, indirizzo email e così via. Il nostro nome può poi essere usato come segnaposto in messaggi, email e notifiche che possono contenere parti del discorso declinabili tanto al maschile quanto al femminile. Il segnaposto è dinamico, mentre il resto della frase non cambia in base al genere del nome.

È abbastanza raro che ci venga richiesto di indicare il nostro genere, un po’ perché non tutte le aziende lo vedono necessario e un po’ perché avere stringhe specifiche per maschile, femminile e neutro richiede una certa disponibilità di risorse. Creare due o tre versioni di ciascun messaggio significa maggior spazio di archiviazione, maggiore capacità di elaborazione e più lavoro in fase di traduzione, revisione e aggiornamento. Una serie di rogne che persino le aziende tecnologiche più grandi preferiscono risparmiarsi o anche solo ridurre al minimo. Facebook offre tre opzioni per il genere al momento della registrazione, tuttavia l’informazione non viene utilizzata ovunque. In alcune schermata di ricerca degli amici, ad esempio, Friend viene tradotto con “Amico/a”.

La barra obliqua non è il massimo dal punto di vista della leggibilità, ma permette di evitare problemi di accordo nel momento in cui la stringa non varia in base al genere. Avremmo potuto usare “Connessione stabilita”, ma oltre a essere un po’ più fredda, questa soluzione è anche sensibilmente più lunga. Ciò ci porta a un altro limite con cui ti dovrai confrontare di frequente: spesso le soluzioni inclusive sono più verbose di quelle non inclusive, e non sempre avrai spazio a sufficienza per usarle. Ciò vale tanto per le app e i software quanto per i sottotitoli, i titoli di giornale o la scrittura SEO, giusto per fare qualche esempio.
Dicevamo, i segnaposto. Se non hai particolari limiti di caratteri, per gestirli puoi ricorrere agli stessi strumenti che abbiamo visto nel paragrafo precedente.
[nome] si è unito a Telegram! | [nome] ora è su Telegram! |
[nome] è un tuo amico | [nome] è uno dei tuoi contatti |
Il tuo amico [nome] ti ha invitato a provare la nostra app | – Hai ricevuto un invito a provare la nostra app da [nome] – [nome] ti invita a provare la nostra app |
[nome] è stato rimosso dal gruppo di lavoro | Hai rimosso [nome] dal gruppo di lavoro |
[nome] aggiunto alla chat | Ora [nome] fa parte della chat |
[nome] ti ha taggato in una foto | [nome] ha aggiunto una foto in cui ci sei anche tu |
Ancora una volta, dovrai valutare caso per caso quale sia la soluzione migliore. Ad esempio, “hai rimosso” va bene solo se a farlo è stato effettivamente l’utente che legge, altrimenti sarebbe un errore.
Casi particolari del participio passato
Se conosci la grammatica italiana a menadito, saprai che le regole di concordanza prevedono dei casi in cui un participio passato al maschile può essere considerato corretto anche con un soggetto femminile. In particolare, quando l’ausiliare è il verbo avere:
Se il verbo composto è preceduto da un pronome personale o da un pronome relativo, è accettabile sia il participio maschile (indipendentemente dal genere e dal numero del complemento oggetto), sia la concordanza con il complemento oggetto femminile o plurale (anche se la prima soluzione appare nell’uso la più frequente)
Scheda dell’Enciclopedia Treccani sulla concordanza
– Vi hanno tradito / Vi hanno traditi
– La scelta che hai fatto è quella giusta / La scelta che hai fatta è quella giusta
Esistono molte formule comuni in cui il participio passato al maschile potrebbe essere considerato non riferito al soggetto ma parte del tempo verbale:
- Il tuo amico [nome] ti ha invitato a provare la nostra app
- Scusa se ti ho interrotto
- Buone notizie, ti abbiamo selezionato!
D’altro canto, adottare comunque una soluzione inclusiva ci permette di andare sul sicuro ed evitare che la persona dall’altra parte dello schermo o del foglio possa sentirsi trascurata o discriminata:
- [nome] ti invita a provare la nostra app
- Scusa per l’interruzione
- Buone notizie, la tua candidatura è stata accettata!
Usare sostantivi e pronomi neutri, collettivi o astratti
Maschile sovraesteso vs. femminile sovraesteso
Se per definire un gruppo di 2 dottori e 3 dottoresse usiamo “dottori”, non commettiamo un errore di grammatica. Tuttavia, il maschile sovraesteso omogeneizza la diversità e veicola un’informazione parziale. Potremmo usare “dottoresse”, allora? In effetti, nelle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, Alma Sabatini consiglia l’uso del femminile sovraesteso per i gruppi a prevalenza femminile. Questo approccio non è però diventato una consuetudine diffusa e per questo motivo potrebbe creare qualche fraintendimento. Prendiamo ad esempio ciò che è successo in Germania nell’ottobre 2020.
Come in italiano, anche in tedesco si usa il maschile sovraesteso per definire gruppi misti o la popolazione in generale. Così, quando il Ministero della Giustizia ha redatto una bozza di legge tutta declinata al femminile, il Ministero dell’Interno ne ha subito richiesto una revisione. Motivo? Il femminile sovraesteso non è universalmente riconosciuto come genere grammaticale per riferirsi tanto agli uomini quanto alle donne. Per come era scritta, la legge sembrava applicabile solo alle donne, caratteristica che l’avrebbe resa incostituzionale. E meno male che “sono solo parole”.

Al di là dei possibili equivoci che può comportare, il femminile sovraesteso non è più inclusivo del maschile sovraesteso, ma proprio come il maschile sovraesteso non è vietato a priori. Potresti usarlo in situazioni meno rischiose di un documento con implicazioni legali, come ad esempio un elenco di sostantivi o nomi propri. Sempre secondo le Raccomandazioni, in questi casi è consigliabile accordare i participi passati in base al genere maggioritario oppure in base all’ultimo sostantivo della serie.
Maria, Paolo e Laura sono arrivate questa mattina
Maria, Laura e Paolo sono arrivati questa mattina
L’uso del femminile sovraesteso può essere un modo per provare a superare la norma stabilita del maschile “neutro” oppure una scelta redazionale. Il blog C+B, ad esempio, lo usa per riferirsi al suo target di riferimento: imprenditrici e creative italiane. Ciò non significa che sia riservato alle persone di genere femminile.
Sostantivi generici e pronomi indefiniti
Per andare sul sicuro, quando ci riferiamo a gruppi di persone non omogenei possiamo usare sostantivi generici che definiscono categorie, cariche, posizioni o ruoli. Ecco qualche esempio (i termini con l’asterisco sono intesi al maschile).
dottori | medici, personale medico, équipe medica |
infermieri | personale infermieristico |
tecnici | personale tecnico, team tecnico |
segretari | segreteria |
professori, docenti*, insegnanti* | corpo docente, personale docente, corpo insegnante |
studenti | classe |
dipendenti*, lavoratori, operatori | personale |
assistenti* di bordo | personale di bordo |
dirigenti, presidenti | dirigenza, presidenza |
attori | cast |
scienziati | comunità scientifica |
festa dei lavoratori | festa del lavoro |
Ricorda però che a volte i sostantivi collettivi possono essere troppo generici o addirittura ambigui. “Presidenza” può indicare tanto “il presidente” quanto un ufficio composto dal presidente e i suoi collaboratori. Allo stesso modo, è sconsigliabile usare “reparto ospedaliero” per riferirsi solo al personale medico: questa definizione include anche figure di altro tipo. Se non vuoi perdere in precisione, potresti dover utilizzare un’altra strategia, come ad esempio lo sdoppiamento, oppure “arrenderti” al maschile sovraesteso.
Oltre ai sostantivi collettivi, ci possono venire in aiuto anche i pronomi indefiniti.
I candidati al concorso devono… | Chi partecipa al concorso deve… |
Coinvolgere il lettore | Coinvolgere chi legge |
Gli aventi diritto alla promozione possono… | – Chiunque abbia diritto alla promozione può… – Coloro che hanno diritto alla promozione possono… |
Uomo, persona, individuo, popolo, membro
Secondo le indicazioni del Parlamento europeo e del Segretariato generale del Consiglio europeo, “uomo” e “uomini” possono essere considerati neutri se usati in espressioni idiomatiche. Qualche esempio:
- A passo d’uomo, a misura d’uomo
- Il lavoro nobilita l’uomo
- L’uomo è un animale sociale
- L’uomo di Neanderthal
Lo stesso vale se usati nell’accezione di “essere vivente”, “essere umano”, “genere umano”, “umanità”, “persona”, “individuo” e “soggetto”: tutte ottime soluzioni per evitare riferimenti di genere. L’espressione “diritti dell’uomo” fa caso a sé:
Nel caso di espressioni quali “Corte europea dei diritti dell’uomo” e “Convenzione europea dei diritti dell’uomo” si tratta, nello specifico, di denominazioni ufficiali. Qualora non si tratti di citare la giurisprudenza delle due corti, tuttavia, la locuzione “diritti dell’uomo” può essere sostituita da “diritti umani”.
LA NEUTRALITÀ DI GENERE NEL LINGUAGGIO usato al Parlamento Europeo
Al contrario, “uomo” e “uomini” non sono considerati neutri se descrivono una categoria di individui oppure professioni e figure stereotipate. Qualche esempio:
- Uomini d’affari
- Uomo della strada
- Uomini politici
In casi simili, bisogna utilizzare un termine collettivo neutro (se esiste) oppure espandere la categoria includendo per lo meno il genere femminile (esempio: uomini e donne d’affari/imprenditrici e imprenditori).

Alcune di queste espressioni compaiono anche nelle Raccomandazioni di Alma Sabatini. Per alcune l’approccio suggerito è lo stesso, mentre per altre si consiglia di sostituire comunque “uomo” con altri sostantivi generici. A te la scelta di quale seguire.
a misura d’uomo | a misura umana |
diritti dell’uomo | – diritti umani – diritti della persona – diritti dell’umanità |
il corpo dell’uomo | il corpo umano |
uomo della strada | – la persona della strada – la gente comune |
l’uomo primitivo | – le popolazioni primitive – i popoli primitivi |
l’uomo di Cro-Magnon | i resti umani di Cro-Magnon |
La parola “popolo” si può anche usare per rendere inclusivi i nomi di popolazioni, tanto antiche quanto moderne.
i Romani, i Greci | il popolo romano, il popolo greco |
gli italiani, gli spagnoli | il popolo italiano, il popolo spagnolo |
Sabatini suggerisce inoltre di evitare “fraternità”, “fratellanza” e “paternità” quando si riferiscono a donne e uomini.
la fratellanza tra nazioni | la solidarietà tra nazioni |
La paternità dell’opera è attribuita a Maria Rossi | La maternità dell’opera è attribuita a Maria Rossi |
“Membro” è una parola neutra e potrebbe tornarti utile per riferirti a singole persone di un determinato gruppo senza indicare il genere.
Verrai contattato da un nostro tecnico dell’assistenza | Ti contatterà un membro del nostro team di assistenza |
Tutti i parlamentari | Tutti i membri del Parlamento |
Coniuge, partner, coppia
E se ci dobbiamo riferire a una coppia o tradurre parole ambivalenti come spouse o partner? “Coniuge” è una soluzione neutra per evitare “marito” o “moglie”, ma appunto funziona solo in caso di matrimonio. Al contrario, “partner” ci permette di riferirci tanto a coppie sposate quanto a coppie di fatto o dello stesso sesso, unioni civili e così via, ma purtroppo può essere accordata tanto al maschile quanto al femminile. Può aiutarci comunque nei moduli o nelle risposte chiuse ai sondaggi, in cui magari possiamo evitare gli articoli e le preposizioni. In altri casi, può venirci in aiuto la stessa parola “coppia” o una perifrasi.
Your spouse name: | Nome del coniuge: |
Who are you traveling with? – Alone – Partner – Friends | In compagnia di chi sta viaggiando? – Nessuno – Partner – Amici |
What about spending a romantic evening with your loved one? | – Che ne pensi di una romantica serata di coppia? – Perché non trascorrere una serata romantica con la persona che ami? |
La soluzione migliore dipenderà sempre dal grado di precisione che devi fornire o hai a disposizione. Se è necessario far riferimento al matrimonio, non userai “partner” o “coppia”, ma se per esempio devi scrivere o tradurre il testo di un’offerta promozionale destinata a qualsiasi tipo di coppia, “coniuge” potrebbe essere troppo specifico. Come al solito, il contesto è tutto.
Cliente, utente e altri sostantivi di genere comune
Se ti occupi di scrittura o traduzione tecnica, userai spesso “cliente” e “utente”, due parole di genere comune, ovvero che si possono declinare sia al maschile che al femminile. Come per “uomo”, il maschile non è considerato marcato se ci riferiamo alla categoria in generale. Se però vogliamo fare un passo in più, possiamo aggirare articoli e preposizioni con le soluzioni che abbiamo visto fino ad ora.
Oltre 10.000 clienti serviti nel 2019 | Nel 2019 abbiamo servito oltre 10.000 clienti |
Facciamo felici i nostri clienti | Facciamo felice la nostra clientela |
L’app è stata scaricata da moltissimi utenti in poche ore | L’app è stata scaricata da un gran numero di utenti in poche ore |
Bisogna valutare caso per caso se la frase si può neutralizzare senza cambiarne troppo il taglio o renderla meno leggibile. In alternativa a “utente”, potresti usare “persona” e dare ai tuoi testi un tocco di umanità in più. Questo approccio è molto diffuso nell’ambito dello human-centered design e può rendere più gradevole l’esperienza di un sito o un’applicazione. C’è anche chi crede che la parola “utente” vada proprio abolita. Come posizione è forse un po’ estrema; non abusarne o alternarla a “persona” potrebbe essere una buona via di mezzo.
Sono di genere comune molti sostantivi derivati da participi presenti, come “rappresentante”, “referente” o “presidente”. Anche in questo caso a determinarne il genere sono le altre parti del discorso, tipo articoli, preposizioni e aggettivi. Può sembrare un’indicazione banale, eppure la vocale finale può trarre in inganno. Vedere per credere.

Declinare i sostantivi sia al maschile che al femminile
Categorie di persone
Un modo per rendere visibile il femminile è l’uso simmetrico del genere tramite lo sdoppiamento del sostantivo.
Gli infermieri hanno scioperato per otto ore | Infermieri e infermiere hanno scioperato per otto ore |
Cari soci, grazie per essere qui | Cari soci e care socie, grazie per essere qui |
Gentile dottore, la contatto per conto dell’assistenza clienti | Gentile dottore/dottoressa, la contatto per conto dell’assistenza clienti |
Questa soluzione ha pregi e difetti. Nel caso in cui un sostantivo collettivo sia troppo generico o non esista, ci permette di mantenere la precisione o evitare perifrasi non naturali. D’altro canto, nei testi molto lunghi lo sdoppiamento appesantisce la lettura. In casi simili potresti scegliere di aggiungere una nota iniziale tipo “I termini maschili usati in questo testo si riferiscono a persone di qualsiasi genere e sesso”. E in seconda battuta, non sempre c’è abbastanza spazio per usare sia il maschile che il femminile. Se dobbiamo fare economia di parole, evitare del tutto il maschile sovraesteso può essere molto difficile o addirittura impossibile.

Se utilizzi lo sdoppiamento, uno stratagemma per alleggerire un po’ la lettura è anteporre il sostantivo femminile e usare solo il participio maschile:
Solo le studentesse e gli studenti promossi alla prima prova possono accedere all’esame finale
Come indicato anche nelle Raccomandazioni, il maschile “promossi” è giustificato dalla contiguità al sostantivo “studenti” e non è marcato dal punto di vista del genere.
Fratelli e sorelle, cugini e cugine
Un caso in cui lo sdoppiamento è sempre necessario è la traduzione di sibling. Questa parola inglese indica tanto “fratello” quanto “sorella” e non ha un corrispettivo italiano. O meglio, ci sarebbe, ma è un sostantivo desueto e sconsigliato anche dall’Accademia della Crusca: “germano” Per non dare per scontato che stiamo parlando solo di fratelli maschi, dobbiamo usare “fratelli e sorelle” oppure “fratelli o sorelle”.
Do you have any siblings? | Hai fratelli o sorelle? |
I have three siblings | Ho tre fratelli e sorelle |
Lo stesso si applica anche ad altri gradi parentela (zii, cugini e così via). Sempre ammesso che non sappiamo il numero preciso di maschi e femmine.
Usare i femminili professionali
Un discorso più socioculturale che linguistico
La declinazione al femminile di professioni e cariche è forse l’aspetto del linguaggio inclusivo più noto al grande pubblico, soprattutto per le polemiche che riesce ancora a suscitare. Una delle più note risale al 2016: durante una seduta, la Presidente della Camera Laura Boldrini avrebbe preteso di essere chiamata “presidenta”. In realtà chiese di usare l’espressione “signora presidente”, che al contrario di “presidenta” è corretta dal punto di vista grammaticale. Di fatto la notizia fu montata e cavalcata da chi vedeva come una forzatura l’innovativo uso di “ministra”, “deputata” e altri femminili professionali promosso da Boldrini durante il suo mandato, ignorando però che il dibattito è tutt’altro che nuovo: le Raccomandazioni di Alma Sabatini risalgono al 1987.

Più recente è la discussione sollevata dall’elezione di Antonella Polimeni a rettrice dell’Università La Sapienza di Roma, prima donna nella storia a ricoprire questa carica. La notizia è stata commentata sui social network con posizioni partitarie: “Meglio rettora!”, “No, rettrice è corretto!”, “Macché, rettore è il ruolo e quindi si dice rettore donna!”. La soluzione era semplicissima: per conoscere la corretta forma femminile di un sostantivo basta consultare il dizionario. Forme come “sindaca”, “assessora” o “avvocata” non sono neologismi: semplicemente, fino a un certo punto della nostra storia non sono state necessarie perché descrivevano concetti che non esistevano.
La declinazione al femminile è la logica conseguenza della comparsa di donne in posizioni prima riservate agli uomini. E dal punto di vista grammaticale non ci sarebbe molto da discutere: un soggetto femminile si definisce con il femminile. Ma riguardo a quest’ultima considerazione, nemmeno tra le donne c’è accordo. Nel 2019, sempre durante un dibattito alla Camera, una deputata ha chiesto di essere chiamata “deputato” perché è suo diritto autodefinirsi come preferisce. Se da un lato è giusto rispettare la volontà delle persone, dall’altro bisogna chiedersi quanto l’argomento sia stato usato in modo pretestuoso per scontrarsi sul piano sociopolitico. Ma esempi di questa preferenza si possono trovare anche in altri strati della popolazione femminile.

Trovare una sintesi tra le diverse posizioni è difficile; di certo non si può imporre né di usare i femminili professionali né di non usarli. Molte motivazioni del no si basano su pilastri un po’ traballanti dal punto di vista linguistico, tipo la cacofonia (“Suonano male”), l’esperienza personale (“Mia cugina si fa chiamare avvocato“) o la presunta necessità di cambiare tutte le parole a cascata (“E allora usiamo anche pediatro o guardio“). Per chi ha dimestichezza con grammatica e linguistica, ridimensionare obiezioni simili richiede pochi secondi, ma ciò non deve diventare un esercizio di superiorità intellettuale. Chi la pensa diversamente da noi non è un nemico da abbattere.
Quello che un linguista può dire, anzi, spiegare, è che è senza dubbio corretto usare i femminili professionali, ma non si può affermare categoricamente che sia sbagliato non usarli: ognuno scelga per sé ma, soprattutto, rispetti la posizione di chi la pensa diversamente. […] Penso che oggigiorno ci sia posto per tutti, e che affermare la correttezza linguistica (e sociale) dei femminili professionali non equivalga certo a dire che usare il maschile sia sbagliato tout court.
Vera Gheno – Femminili singolari
Quando e come usarli

Torniamo agli aspetti pratici: quando e come vanno usati i femminili professionali? Se ci riferiamo a professioni o funzioni in astratto e organismi, il maschile sovraesteso può essere considerato non marcato, anche solo per mere questioni di economia.
Una misura per aiutare traduttori e interpreti
Per maggiori informazioni, contatta l’amministratore
I Commissari europei si sono riuniti questa mattina per discutere…
Se lo riteniamo necessario e non abbiamo limiti di spazio, nulla ci vieta di raddoppiare il termine. Se il genere della persona è noto, va usato il genere grammaticale corrispondente. Ciò significa che dobbiamo concordare articoli, preposizioni, participi e così via, ma anche cambiare il suffisso dei sostantivi.
il presidente | la presidente |
il relatore | la relatrice |
il commissario | la commissaria |

Ci sono casi in cui le due indicazioni possono andare in cortocircuito. Prendiamo ad esempio la segnalazione di un’utente su Twitter, che chiede conto all’editrice Einaudi di questa scelta di parole in una biografia:
Patrizia Cavalli è uno dei più letti e amati poeti contemporanei.
Al tweet ha risposto la stessa editor della poetessa:
[…] Avevo scritto “una delle più lette e amate poetesse contemporanee”. Patrizia mi ha posto il problema della lingua che tradisce se stessa. E mi ha chiesto di usare un termine che rispecchiasse quanto voleva dire Einaudi. E nella lingua italiana il termine che comprende tutti, poetesse e poeti, è uno solo: poeti.
Per Einaudi, Cavalli non è la più apprezzata tra le poetesse, ma tra tutti i poeti (uomini e donne). Se la scelta è fondata e supportata da un intento chiaro, il maschile sovraesteso può essere preferito ad altre soluzioni per questioni di chiarezza. Come ogni scelta, può sollevare critiche e non essere la migliore. Tu come avresti scritto la biografia?
Anche in questo tweet dell’Università di Milano-Bicocca vediamo una sorta di cortocircuito: perché hanno usato sia “rettore” che “rettrice”? Non si tratta di una svista: questo trattamento distinto riflette le preferenze delle singole persone coinvolte. Quando è stata nominata, Messa aveva scelto di farsi chiamare “rettore” e ciò giustifica anche l’uso di “ministro”; al contrario, la nuova rettrice preferisce usare il ruolo al femminile. Come dicevamo, è giusto rispettare la volontà delle persone per quanto riguarda l’uso dei loro titoli al maschile o al femminile. Purtroppo non è sempre possibile conoscere la preferenza di ogni individuo di cui dobbiamo scrivere: tocca informarci, per quanto possibile. Se poi non troviamo nulla in merito, non ci resta che affidarci alla nostra sensibilità, fare una scelta e in caso di errore correggere il tiro.
In ogni caso, l’uso del femminile ha anche un risvolto pratico: se accordiamo in modo corretto articoli e aggettivi, non è necessario specificare “donna”. Se poi vogliamo o dobbiamo farlo per qualche motivo particolare, ad esempio per sostantivi di genere comune come “presidente”, è consigliabile anteporre “donna” alla professione, in modo che qualifichi la persona e non serva per modificare il genere del ruolo, come abbiamo visto per “rettore donna”. Diverso il discorso se la parola fa parte di un elenco di caratteristiche che vogliamo sottolineare (ad esempio, “Kamala Harris è la prima vicepresidente donna e non bianca della storia”).
Come si formano
Per formare i femminili delle professioni, basta seguire le normali regole grammaticali e usare le desinenze -a, -trice, –aia e così via. Per i femminili non ancora stabilizzati, evita l’uso del suffisso –essa, che può essere frainteso con “la moglie di” e talvolta ha connotazione spregiativa, come ad esempio in “presidentessa” o “sindachessa”. Ciò non si applica ai sostantivi già pacificamente sedimentati nell’uso, come “professoressa”, “poetessa”, “studentessa” o “dottoressa”: per buonsenso ed economia, è sconsigliabile intervenire per cambiarli. Tuttavia il dibattito è aperto e non è raro vedere parole come “studente” e “poeta” usate al femminile.

Un caso particolare sono i nomi composti con capo-, che variano in base alla funzione che svolge il prefisso: se designa “il capo di qualcosa”, si cambia solo l’articolo; se designa “il capo di qualcuno”, può essere necessario cambiare anche il suffisso della parola composta.
– il capounità – il capogruppo | – la capounità – la capogruppo |
il caporedattore | la caporedattrice |
In caso di dubbio su come formare un femminile puoi:
- Consultare un dizionario o una grammatica affidabile
- Cercare tra le consulenze dell’Accademia della Crusca
- Leggere le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo di Cecilia Robustelli
- Dare un’occhiata a questo approfondimento sulla parola “femminile” dal sito della Zanichelli
Usare un trattamento simmetrico per uomini e donne
Partiamo da due episodi:
- Il Primo ministro italiano incontra la Cancelliera tedesca per parlare del Next Generation EU e La Stampa titola La forza di Angela e le paure di Conte. Nome di battesimo per lei, cognome per lui.
- Durante una trasmissione televisiva, Concita De Gregorio riprende Alessandro Sallusti: “Mi scusi, ma perché mi chiama per nome e io la chiamo per cognome?”. Lui allora usa “dottoressa”, ma lei ribatte: “Mi basterebbe anche solo il cognome”.
Questi sono due esempi di trattamento asimmetrico, in cui l’uso del nome proprio in qualche modo sminuisce l’importanza della parte femminile. Per evitare squilibri, quando ci riferiamo a un uomo e una donna in terza persona occorre usare titoli e formule di cortesia in modo simmetrico. Per lo stesso motivo, è sconsigliabile l’uso dell’articolo “la” prima dei cognomi di donne.
il dottor Bianchi e la signora Rossi | il dottor bianchi e la dottoressa Rossi |
la Merkel e Biden | Merkel e Biden |
la signora Merkel e Biden | la signora Merkel e il signor Biden |
Angela Merkel e Biden | Angela Merkel e Joe Biden |

Per estensione, lo stesso principio si dovrebbe applicare anche a nomignoli e soprannomi. Prendiamo ad esempio le polemiche sollevate dal titoletto che contrapponeva Luca Parmitano ad “AstroSamatha”. Alcune persone hanno visto nell’uso del nomignolo un modo per declassare Samantha Cristoforetti da professionista a personaggio dello spettacolo. Per contro si può obiettare che l’astronauta è (forse suo malgrado?) nota al grande pubblico con questo soprannome. Ma visto che anche Parmitano è noto come AstroLuca (è anche il suo nickname su Twitter), c’erano alternative più equilibrate:
- Nomignolo + nomignolo: “AstroLuca e AstroSamantha in pole”
- Cognome + cognome: “Parmitano e Cristoforetti in pole”
- Nome e cognome + nome e cognome (un po’ troppo lunga, in questo caso): “Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti in pole”
Un altro effetto del trattamento non simmetrico lo vediamo spesso sui giornali, che tendono a commentare i successi delle professioniste in modo paternalistico o sensazionalista. Ricorrere a nomignoli, metafore e paragoni creativi sposta il centro dell’attenzione dalla notizia di per sé al genere delle protagoniste. Per Il Messaggero le due scienziate che per prime hanno isolato il coronavirus sono “angeli della ricerca“, mentre per Il Corriere della Sera le due scienziate premio Nobel per la chimica 2020 sono “le Thelma e Louise del DNA”. Ma questi sono solo due esempi.

Bisogna dire che non tutti gli episodi simili sono figli di un sessismo più o meno involontario. L’articolo del Corriere, ad esempio, si apre prendendo in qualche modo le distanze dal paragone con Thelma e Louise, che in realtà si deve al giornale francese Le Monde. È quindi (come capita spesso) più un problema di titolo che di contenuto. Ma allora, in casi simili, di chi è la colpa? Sono i giornali a commettere gaffe oppure è il pubblico a non capire le loro reali intenzioni? Annamaria Testa ha le idee molto chiare in merito:
Il termine comunicare viene dal latino. Vuol dire “mettere in comune, rendere partecipi”. C’è comunicazione quando un’informazione, trasmessa da una fonte, viene ricevuta e compresa dai destinatari. Se l’informazione non arriva, se arriva distorta o se i destinatari la rigettano, significa che qualcosa non funziona. La responsabilità non è mai dei destinatari che non capiscono. È sempre dell’emittente, che non sa farsi capire dai destinatari a cui si sta rivolgendo.
Alla luce di ciò, la soluzione più equilibrata per parlare di scienziate, politiche e professioniste in generale è farlo in modo oggettivo e simmetrico agli uomini. Chiamiamo tutti allo stesso modo, che sia col nome, il cognome o col titolo professionale. Ciò non significa che si debbano evitare del tutto le figure retoriche, semmai vanno scelte con attenzione e coscienza del pubblico: più è vasto e differenziato, più è facile che non tutti colgano ironia, riferimenti e parallelismi. Purtroppo fa parte del gioco della comunicazione, l’importante è sapersi comportare di conseguenza in caso di equivoci o errori fatti in buona fede.
Ah, nel caso ce ne fosse bisogno: un’altra norma affermata ormai dagli anni Ottanta (e non solo in Italia) è l’uso del titolo “signora” al posto di “signorina” anche per le donne non sposate, promosso per equilibrare l’unica forma maschile (un uomo non sposato è sempre “signore”).
Fare attenzione a stereotipi e pregiudizi di genere
Modelli e modi di dire da superare

Avrai notato che dagli aspetti linguistici siamo scivolati in modo graduale ai contenuti: è il momento di parlare delle numerose espressioni comuni che tradiscono una visione stereotipata del mondo, polarizzata sulla dicotomia maschio forte e lavoratore vs. donna debole e custode del focolare domestico. Paolo Berizzi ne ha citate alcune in un trafiletto su Repubblica, ma possiamo aggiungere:
- Donnicciola indica un uomo pauroso e debole
- Maschiaccio indica una ragazza turbolenta e vivace
- Un uomo che pulisce è la donna di casa
- In una coppia, una donna con il carattere forte porta i pantaloni
Lo stesso si può dire per alcuni proverbi:
- Chi dice donna dice danno
- Donna al volante, pericolo costante
- Moglie e buoi dei paesi tuoi
L’elenco potrebbe continuare e includere anche parole o espressioni dal sessismo più subdolo. Che sono tante, tantissime, e possono sfuggire anche a chi di solito pone molta attenzione al modo in cui si esprime. Vedi il caso di Internazionale, che nel 2017 si è scusato per aver usato il proverbio “la botte piena e la moglie ubriaca” in un articolo tradotto dal francese:
Internazionale è molto scrupoloso nell’evitare ogni forma di sessismo, a cominciare da quello linguistico, dove a volte forza perfino l’uso comune. […] Nel caso della botte piena e della moglie ubriaca non ci sono vie di mezzo. L’unico modo per non essere sessisti è usare un’altra espressione, o meglio ancora un altro proverbio. E salvare capra e cavoli.
Abbiamo una vasta scelta di espressioni con cui sostituire quelle sessiste. La linguista Anna Donà ne ha illustrate alcune per il suo progetto Alternative Antisessiste, ma elencarle tutte è difficile: meglio tenere le antenne sempre bene alzate quando scriviamo o traduciamo. E magari approfondire l’argomento della comunicazione inclusiva seguendo realtà come Hella Network.
Nei testi e nelle pubblicità
È oggettivo: alcune professioni sono state storicamente ad appannaggio di uno o l’altro genere, ma oggi la situazione è molto diversa. Non dobbiamo dare per scontato che nurse sia “infermiera” o secretary sia “segretaria”, ma anche non rendere Dear Dr. in apertura del modello di un’email con “Gentile dottore” e basta: esistono anche le dottoresse. Questo tipo di accortezze possono essere un vantaggio competitivo rispetto alle macchine, che non sono in grado di comprendere il contesto o valutare le implicazioni culturali di un testo. Non rinunciamoci.

In qualità di consulenti culturali ancora prima che linguistici, se un testo sorgente o il brief per un copy contiene degli stereotipi di genere dobbiamo farlo notare. Certo, non è sempre possibile e non è detto che il nostro parere venga apprezzato, ma non sollevare il problema è una resa a priori dal punto di vista ideologico e professionale. Se servisse ricordarlo, la pubblicità sessista è dannosa: vedi le polemiche suscitate nel 2015 dallo spot della Huggies in cui le bambine pensano “a farsi belle” e i bambini “a fare gol”.
Attenzione però: nulla vieta di usare gli stereotipi con intelligenza e ironia. Vedi Heineken, che smonta il mito secondo cui la birra è una bevanda da uomini con uno spot leggero e divertente. Se c’è una cosa che possiamo imparare da Taffo Funeral Services è che si può scherzare persino sulla morte. Ma sono operazioni che vanno fatte con cura, cognizione di causa e uno stile coerente (o in totale rottura) con il brand per cui stai scrivendo, proprio in virtù della delicatezza dell’argomento.

Trattare in modo corretto i generi diversi da maschile e femminile
Sesso, genere, orientamento
Fino a ora la situazione ti è sembrata intricata? Bene: aggiungiamo un po’ di pepe uscendo dalla prospettiva binaria del genere. Per iniziare, facciamo un po’ di chiarezza sui termini con l’aiuto di varie risorse, tra cui questo glossario del Post e il sito Queer Culture Guide:
- Il sesso ha una dimensione fisica. Lo dobbiamo alle nostre caratteristiche genetiche e anatomiche (cromosomi, ormoni, genitali).
- Il genere ha una dimensione psicologica e identitaria. È un senso di identificazione al modello culturale di mascolinità e femminilità della propria società.
- L’orientamento attiene alla sfera del desiderio sessuale o romantico. Possiamo essere attratti da individui dello stesso sesso/genere come no, ma anche non avere alcun tipo di pulsione.
In realtà ogni categoria è un ventaglio: una persona può trovarsi tanto agli estremi del sesso, del genere o dell’orientamento sessuale quanto in qualche punto intermedio. Andando in ordine:
- Una persona può essere maschio, femmina o intersex, ovvero avere caratteri sessuali diverse dalla tipica divisione maschile/femminile.
- Una persona può sentirsi cisgender, transgender o non binaria, una visione che a sua volta include diverse identità.
- Una persona può essere eterosessuale, omosessuale, bisessuale, asessuale e molto altro ancora. Se poi distinguiamo sentimento e sesso, c’è anche la gamma che va da etero- a omoromantico.
Se consideriamo tutte le possibili intersezioni tra sesso, genere e orientamento, le identità sono una vera galassia: parlarne e scriverne in modo adeguato richiede una certa attenzione. Anche perché, nonostante in Italia il clima per le comunità LGBTQIA+ non sia dei migliori, ci capiterà sempre più spesso di doverlo fare.
Trans, transgender, transessuale
Online troverai molti glossari sui termini LGBTQIA+ che ti aiuteranno a scegliere le parole più adatte a ciascuna situazione. Soffermiamoci però su “transgender” e “transessuale”, due termini che possono creare qualche confusione. Tanto per iniziare, non sono sinonimi:
- “Transgender” è un termine ombrello per indicare una persona che non si riconosce nel genere che le è stato attribuito alla nascita. Un individuo transgender (o “trans”, per brevità) può essere in pace con il proprio sesso, ma identificarsi con un altro genere rispetto a quello di nascita (o addirittura nessuno).
- “Transessuale” indica una persona che inizierà, ha iniziato o ha concluso una transizione verso l’altro sesso. Quindi, da maschio a femmina (MtF) o da femmina a maschio (FtM). Il punto del percorso in cui si trova non fa differenza in termini di autodeterminazione.
Quindi, che genere grammaticale dobbiamo usare per riferirci alle persone transgender? È più semplice di quanto sembri: di una donna transgender si deve parlare al femminile; di un uomo transgender si deve parlare al maschile. In altre parole, fa sempre fede il genere di arrivo e non quello di partenza. E come sottolinea la giornalista Francesca Vecchioni, questa distinzione si applica anche quando parliamo di queste persone al passato.
Anche se il dizionario riporta “transgender” come sostantivo, formule come “un transgender” o “la trans” possono essere considerate offensive. Tanto organizzazioni estere come la GLAAD che iniziative nostrane come Trans Media Watch Italia suggeriscono di usare la parola “transgender” come aggettivo e non come sostantivo. Ciò significa sostituire:
- “il trans” o “l’uomo” con “la donna transgender”
- “la trans” o “la donna” con “l’uomo transgender”
In caso di dubbi o se parliamo della categoria in generale, possiamo usare “persona/persone transgender”. Sempre Trans Media Watch Italia ricorda poi di evitare termini derogatori come viados e di usare con attenzione la parola “travestito”. Anche in questo caso, la ricerca online è fondamentale per non incappare in errori, seppur in buona fede.
Usare il corretto genere grammaticale significa rispettare la volontà di autodeterminazione della persona interessata: un dettaglio non così scontato. In tutto il mondo esistono molte persone che non riconoscono l’esistenza di generi diversi da quelli binari e che si oppongono a queste distinzioni. Alcune fanno persino parte di altre comunità attente alle tematiche di genere. Esiste ad esempio un femminismo essenzialista e trans-escludente (TERF), salito agli onori della cronaca a giugno 2020 per alcune dichiarazioni di J.K. Rowling. L’argomento è vasto e delicato; proseguirei piuttosto con due episodi in cui a persone transgender è stato attribuito un genere grammaticale errato.
Il misgendering, in pratica
Nel settembre 2020 in provincia di Napoli un uomo ha provocato la morte della sorella e il ferimento del compagno di lei, un ragazzo transgender di nome Ciro. Alcuni giornali e telegiornali che coprono la notizia, vuoi per fretta di parlarne o per superficialità, si riferiscono a Ciro in modo confusionario: in un articolo del Corriere della Sera viene definito in modo indistinto sia un ragazzo che una ragazza, mentre il TG2 addirittura ne cambia il nome in “Cira” e lo considera coinvolto in una “relazione omosessuale”. Questi sono esempi pratici di misgendering, ovvero parlare di una persona transgender con nomi, articoli, desinenze e pronomi non in linea alla sua identità di genere. Ma per fortuna, a distanza di mesi questi errori sono serviti a qualcosa.
Nel dicembre 2020 l’attore Elliot Page annuncia su Instagram di essere transgender. Ancora una volta i giornali che coprono la notizia fanno un po’ di confusione, ma è apprezzabile l’iniziativa di Repubblica, che oltre a correggere l’articolo pubblica un commento in cui spiega le scelte lessicali fatte per riferirsi a Elliot nel modo più corretto. Questo commento contiene però un’imprecisione. Elliot dice che i suoi pronomi di riferimento sono he o they, che Repubblica traduce con “lui/loro”. È una resa letterale e sbagliata: in inglese, i pronomi they/them vengono utilizzati per indicare una persona di genere non binario, ovvero che non si riconosce né come uomo né come donna. Il che alza di un altro livello la difficoltà a livello linguistico.
Il genere non binario
Replicare il singular they in italiano non è una faccenda semplice. Con Elliot Page ci salviamo in corner: come dice nel post, per lui possiamo usare il maschile oppure il neutro. Ma come possiamo riferirci a una persona o un personaggio di fantasia senza usare né il maschile né il femminile? Questo problema può essere meno astratto e irrealistico di ciò che sembra.

Questo libro interattivo della serie Steven Universe a un certo punto domanda a chi legge quali siano i suoi pronomi di riferimento. Adattare l’uso del pronome they/them è un problema non da poco per le lingue come l’italiano o lo spagnolo. E infatti, per tagliare la testa al toro, nella versione spagnola l’opzione è stata omessa. Scelta senza dubbio economica dal punto di vista linguistico, che per contro rende invisibile e scontenta una parte del pubblico. Avremmo potuto rendere la terza opzione con “Pronomi neutri”, ma si poteva anche rigirare la domanda per chiedere di scegliere il genere (maschile, femminile o non binario). Nella prossima sezione vedremo che, volendo, una soluzione più fedele c’era.
La traduzione in spagnolo è poi priva di declinazioni al genere maschile o femminile, ma il libro è ricco di immagini e menzioni esplicite al genere non binario. Oltre a una disattenzione verso l’audience, l’omissione del genere non binario è in qualche modo un tradimento del franchise. Questo cartone tocca spesso tematiche LGBTQIA+ e lo stesso protagonista ha una versione intersessuale, Stevonnie, che in inglese viene trattata proprio con i pronomi they/them. In italiano, invece, vengono usati solo quelli femminili: un altro caso di misgendering, con la complicazione che in realtà tanto il genere maschile quanto il femminile può essere considerato un errore, perché in qualche misura appiattisce la peculiarità del personaggio.

Gli esempi dal mondo letterario, videoludico e audiovisivo sono numerosi. Nella serie Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina troviamo Theo Putnam, un ragazzo transgender interpretato da Lachlan Watson, persona che a sua volta non si riconosce in un genere binario. Il videogioco Tell Me Why ha come protagonista un ragazzo transgender: localizzarlo in italiano è stato una bella sfida per il team della nostra follower Alice. A quale genere bisogna fare riferimento per riferirsi a un personaggio non binario, magari nei sottotitoli o in un dialogo, dove la sintesi è fondamentale? Sarebbe comodo avere una terza opzione, ma in italiano non esiste. O almeno, non sui libri di grammatica. Ciò ci pone di fronte a una scelta: usare le perifrasi cercando di ridurre le parole all’osso oppure, se vogliamo e possiamo, uscire dalla norma.
Uscire dalla norma, con cognizione di causa
Un’evoluzione che interessa molte lingue
Domanda: si possono modificare i pronomi di una lingua o inventarne di nuovi per creare un genere neutro? E a chi spetta questa decisione? Proviamo a guardare la situazione al di fuori dell’italiano.
- In inglese si è affermato in modo spontaneo il singular they come pronome non marcato. Da diversi anni è considerato corretto e preferibile anche da importanti istituzioni linguistiche e nel 2019 è stato eletto parola del decennio dalla American Dialect Society. Esistono anche altre proposte, tra cui ze/hir e ze/zir.
- In spagnolo è diffuso l’uso di elle in luogo di él o ella. La stessa desinenza -e viene usata in sostituzione di -o e -a, che come in italiano designano maschile e femminile: al neutro, todos diventa todes. Nonostante diverse petizioni, la Real Academia Española non ha ancora ritenuto necessario aggiornare le grammatiche o i dizionari di conseguenza.
- Nel 2015, in svedese è stato aggiunto al dizionario il pronome neutro hen, creato attorno agli anni Sessanta a partire dal maschile han e dal femminile hon. La decisione è sì arrivata dall’Accademia svedese, ma non si tratta di un’imposizione: l’uso del neutro era già diffuso tra la popolazione, almeno tra quella con un certo grado di cultura. Per fare un esempio, Kivi & Monsterhund, un famoso libro per bambini in cui viene usato il pronome hen, è del 2012.
- In cinese di Hong Kong troviamo il pronome X也: inventato nel 2015, non ha avuto una grandissima adozione per alcuni limiti pratici. Un’altra opzione utilizzata dalla comunità non binaria locale è il pronome neutro di terza persona 佢. Nella Cina continentale si è invece diffuso in modo autonomo il pronome ta per quei casi in cui il genere di una persona è ignoto o irrilevante.
Questi sono solo alcuni esempi: il tema è dibattuto e vivo in tutto il mondo. Ma torniamo a casa nostra. In italiano, quello dei pronomi è un problema relativo: la nostra è una lingua a soggetto nullo, quindi li si può spesso omettere (ad eccezione di quelli come gli/le, colui/colei eccetera). Diverso il discorso per quegli elementi che cambiano in base al genere del soggetto, come sostantivi, participi, aggettivi. Per questi, in italiano convivono diverse soluzioni grafiche per evitare riferimenti al genere. Vediamo alcune delle più diffuse.
Asterischi, chiocciole e altri troncamenti
Soprattutto nell’italiano scritto, è molto diffuso l’uso dell’asterisco al posto della vocale finale di sostantivi, aggettivi, participi eccetera. Di sicuro ti è capitato di vederla usare, ma potresti aver anche incontrato le chiocciole, i trattini.
Grazie a tutt*, spero vi siate divertit*
Grazie a tutt@, spero vi siate divertit@
Grazie a tutt-, spero vi siate divertit-
Il problema principale è: come si pronunciano questi simboli? Può sembrare un problema trascurabile, ma quando leggiamo il testo ci risuona in testa in modo non troppo diverso dal parlato. Ci sarà un motivo per cui si parla di “voce” del testo. L’opzione più probabile è che vengano lasciati muti: una soluzione un po’ difficile da replicare nel parlato, ma non impossibile. Simile per ipotetica pronuncia ma non per resa grafica è il troncamento della vocale finale.
Grazie a tutt, spero vi siate divertit
Le desinenze -x, -y e -u
Oltre ai simboli, possiamo trovare anche le lettere -x e -y usate come desinenza neutra. La prima ha un suono e può essere pronunciata, ma non tutte le combinazioni si prospettano semplici. La seconda rischia invece di essere confusa con la i latina o qualche storpiatura tipo “Ciao povery”.
Grazie a tuttx, spero vi siate divertitx
Grazie a tutty, spero vi siate divertity
Al contrario, la desinenza -u si può riprodurre senza grandi problemi sia nello scritto che nel parlato.
Grazie a tuttu, spero vi siate divertitu
Questa soluzione è pratica, visto che la -u non corrisponde ad alcun genere noto e non è utilizzata come desinenza finale né al singolare né al plurale, ma ha delle limitazioni:
- Crea confusione tra singolare e plurale, poiché manca una sesta vocale base che permetta di definire con precisione il numero.
- Ricorda il suono di alcune lingue regionali italiane, come il sardo o il salentino, in cui tra l’altro ha in genere una connotazione maschile.
- Il suono è sbilanciato verso la -o e rischia di creare uno squilibrio percettivo verso il genere maschile.
Lo schwa
Di norma usiamo solo sette vocali: la a, la e aperta e chiusa, la i, la o aperta e chiusa e la u. In realtà possiamo pronunciare diversi altri suoni, a cui possiamo far corrispondere altrettanti simboli grafici. Lo schwa si trova circa al centro del cosiddetto quadrilatero vocalico e ha un suono “medio” distinto da tutte le altre vocali, caratteristica che lo rende un ottimo candidato per diventare il neutro.

Il nome di questo simbolo deriva dall’ebraico shĕvā, che significa “zero”, “insignificante” o “nulla”. È una vocale di timbro indistinto, non arrotondato, senza accento o tono, e rispetto alle altre si pronuncia tenendo la bocca a riposo. È un suono molto comune: lo troviamo non solo in varie lingue regionali italiane (pensa alla pronuncia di Napulǝ), ma anche in inglese (è la “a” di about). E anche se ha attirato l’attenzione di alcuni giornali e ottenuto molto spazio nel dibattito pubblico nel 2020, non è affatto una novità nel dibattito sulla ricerca di un genere neutro.
Tanto per iniziare, la proposta di Luca Boschetto di usare lo schwa per il singolare (ǝ) e lo schwa lungo per il plurale (з) risale al 2015. L’idea è nata poiché, a suo parere, le soluzioni come asterisco, chiocciola e desinenza -u sono insufficienti. Vera Gheno cita il simbolo in contrapposizione all’asterisco nel suo saggio Femminili singolari, uscito nel 2019. E come apprendiamo dai commenti a questa guida, sempre nel 2019 la traduttrice Elettra Tsikoudis ha scelto (anche) lo schwa per riprodurre il singular they usato nel romanzo distopico Too Like the Lightning. Il fatto curioso è che la sua scelta non è stata dettata dalla lettura di articoli sul tema: è stata la ricerca di un suono neutro a condurla verso questo simbolo.

Questa proposta gode di un buon grado di adozione e ha guadagnato una certa popolarità, perlomeno nella sua forma semplificata (un solo simbolo sia per singolare che plurale). Ad esempio, la casa editrice effequ ha scelto di usare lo schwa nei suoi saggi a partire dalla traduzione di Il contrario della solitudine di Marcia Tiburi, pubblicato a fine 2020. La scelta è ricaduta su questo simbolo per rendere la forma terza usata dall’autrice portoghese, ossia todes invece di todos e todas. Da quel momento lo schwa è diventata una norma editoriale; tuttavia non viene applicato a tutte le parole declinabili in base al genere, come mi hanno confermato via email:
Usiamo lo schwa solo quando dobbiamo, e vogliamo, enfatizzare la questione del genere. Ad esempio in Vivere mille vite parliamo a volte di community di gamers, altre volte però diciamo “ə giocatorə” proprio perché sappiamo che la comunità è sia maschile, sia femminile, sia non binaria e spesso e volentieri è invece identificata come un mondo prettamente maschile.
In tutti gli altri casi, cercano di usare l’italiano inclusivo nella sua forma più ampia, con strategie simili a quelle che abbiamo visto nelle sezioni precedenti.
Soluzioni a confronto
A questo punto potremmo chiederci: qual è allora la soluzione migliore per creare il genere neutro? Ogni proposta ha punti forti e punti deboli. L’asterisco, la chiocciola o il trattino, per esempio, hanno il limite di non corrispondere a un suono preciso. Nei commenti a un nostro post su Facebook è stata avanzata l’idea di lasciarlo decidere a chi legge. A mio avviso la lettura è un’attività già abbastanza faticosa senza dover riempire i vuoti lasciati da chi scrive. Ma al di là delle opinioni personali, tale mancanza ha un risvolto pratico, come ci mostra questo breve video della pagina Facebook Abbatto i muri.
In generale, tutte le proposte che vanno oltre la norma richiedono un forte intervento sulla lingua, sia in termini di morfologia che di uso delle parti del discorso. Ogni indicazione di questo tipo deve essere presa per ciò che è: una sperimentazione. Ciò non significa che queste soluzioni si possano usare senza criterio: le proposte per un linguaggio neutro inclusivo di Trans Media Watch Italia possono darti un’idea di cosa intendo. Per tornare sullo schwa, effequ si è data queste regole per gli articoli:
Se è necessario, per l’articolo usiamo semplicemente lo schwa, alla “napoletana”. Per gli articoli indeterminativi facciamo unə, ma anche in questo caso laddove si può si aggira la situazione.
La scelta di una proposta rispetto a un’altra dipende quindi da tanti aspetti. Tu quale soluzione senti più pratica ed efficace? L’azienda committente per cui scrivi ha dato delle indicazioni o espresso preferenze? La ricerca del genere neutro è coerente con il personaggio di cui stai parlando o la storia che stai traducendo? C’è la possibilità che il testo sia letto da un sintetizzatore vocale? Ma soprattutto, l’uso di un genere non si può aggirare in nessun modo?
Se sei (o diventerai) del team schwa, puoi dirlo al mondo con questi articoli. Trovi il link al negozio alla fine della guida.
Un’evoluzione possibile, ma non scontata
Come per i femminili professionali, le proposte per un genere neutro vengono spesso commentate e contestate più da un punto di vista ideologico che nel merito della loro fondatezza. Per capirci, uno degli articoli che ha fatto più parlare dell’argomento nel 2020 si intitola Allarmi siam fascistə e, al netto delle (di)visioni politiche, è ricco di inesattezze ed esagerazioni. Il paradosso è che parlarne con superficialità nel tentativo di screditarle sortisce l’effetto opposto: genera solidarietà, interesse, approfondimenti, discussioni. Basta vedere il numero di commenti e reazioni al post di Vera Gheno, bersaglio nemmeno troppo implicito dell’articolo.
Sempre come per i femminili professionali, anche per queste soluzioni non è raro sentire dire che sono buoniste, brutte, sgrammaticate, inventate di sana pianta, inutili. Peccato che la norma non tenga conto di elementi come l’orientamento politico, il gusto personale e la cacofonia, semmai di concetti quali utilità ed economia. E la norma la creano le persone che parlano e scrivono in un determinato periodo storico, non viene imposta dall’alto: se queste lo reputano necessario, hanno il potere di cambiarla.

La fortuna di forme come la desinenza -u, lo schwa o qualsiasi altra proposta che emergerà nei prossimi anni dipenderà dalla loro adozione e diffusione, tanto nelle comunità LGBTQIA+ quanto nel resto della società. Una delle funzioni della lingua è rappresentare la realtà: se esistono persone di genere non binario, prima o poi esisterà un modo più o meno normato per definirle. Forse attecchiranno tutte, forse nessuna, forse un’altra ancora. Forse tra dieci o quindici anni avremo in Parlamento una persona che chiederà di essere definita ministru o deputatǝ, vuoi perché non si riconosce nel genere maschile o femminile o per sensibilità verso il linguaggio inclusivo. Nulla garantisce che avrà la stessa diffusione di “ministra” e “deputata”, ma nemmeno che la proposta cadrà nel vuoto.
Cosa fare nel frattempo

Partiamo dal presupposto che nessuna entità rettiliana pluto-massonica ci obbliga a usare l’asterisco, lo schwa o altre soluzioni per il genere neutro. Se dobbiamo rivolgerci in modo diretto a persone di genere non binario, possiamo optare per costruzioni neutrali, fare attenzione ai pronomi o alle desinenze che la persona usa per riferirsi a sé stessa oppure utilizzare una delle proposte per il genere neutro. E se vuoi usarne una qualsiasi nella tua vita quotidiana, fallo.

Per contro, nei testi in cui l’accento sul non binarismo è fondante, possiamo valutare di scegliere una o più soluzioni fuori dalla norma per non tradire l’intento dell’originale. In un prodotto come Steven Universe, ad esempio, l’uso della desinenza -u, dello schwa o di altre soluzioni potrebbe rientrare in un codice noto e coerente con le tematiche del cartone. Certo è una scelta da ponderare e da proporre all’azienda committente prima di prendere l’iniziativa. E in alcuni casi potrebbero comunque non essere risolutive, come quello della dedica che apre il libro Girl, woman, other di Bernardine Evaristo: per cercare di riprodurre forme come sistha, womyn e mandem, anche le soluzioni che abbiamo visto non sono sufficienti.
Considerazioni finali
Una questione di equilibrio
Nonostante tutti gli strumenti offerti dalla nostra lingua e tutti i suggerimenti di guide come questa, trovare l’equilibrio tra neutralità, chiarezza, economia e naturalezza può essere difficile. In questi casi deve intervenire la tua sensibilità verso il pubblico per cui stai scrivendo. Usare un linguaggio inclusivo significa far sì che un testo sia adatto a più persone possibile. Non deve trasformarsi in un incubo. Servono solo una buona dose di attenzione durante la stesura e una buona fase di rilettura. Ma non è così per ogni tipo di lavoro di scrittura?
D’altro canto, quando traduciamo o scriviamo per lavoro, dobbiamo saper stare a ciò che ci viene chiesto e rispettare budget e scadenze. Se l’azienda committente non vede la necessità di avere contenuti neutri, ha senso impiegare più tempo e fatica del previsto per consegnarglieli? Sta a te valutare. Piuttosto, anche quando non te lo richiedono, puoi proporre l’utilizzo di un linguaggio inclusivo come valore aggiunto, magari portando come esempio le aziende che hanno già scelto di riferirsi a un target più vario dal punto di vista del genere. Se hai la fortuna di poter scrivere le guide di stile per i progetti di cui ti occupi, potresti provare ad aggiungere una sezione dedicata all’inclusività. Tentar non nuoce.
Ci saranno anche casi in cui non avrai molto spazio di manovra. Ad esempio, l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha creato dei modelli standardizzati per il riassunto delle caratteristiche dei farmaci: attenersi al modo in cui sono formulate le indicazioni è un requisito legale. Per tradurre un contenuto simile dovrai seguire il modello italiano, in cui si dà del lei a chi legge ma si usano parole come “paziente”, “utilizzatore”, “infermiere”, “bambino” e “allergico”. Se il farmaco è destinato solo alle donne si può declinare tutto al femminile, ma se non è specifico per l’uno o l’altro genere ha precedenza il maschile sovraesteso, considerato non marcato. Non si scappa. Che poi la ricerca scientifica abbia un problema di stereotipi di genere è un’altra storia.
Un altro elemento di cui devi tener conto è la visibilità e lo scopo del testo, sia nel suo complesso che nelle sue singole porzioni. Non giriamoci troppo attorno: un microcopy o il claim di una pubblicità hanno un obiettivo e un impatto emotivo diversi rispetto a, per dirne una, la sezione sulla compatibilità elettromagnetica del manuale di un dispositivo medicale. Ciò non significa che anche i testi tecnici non possano avere un linguaggio chiaro e inclusivo, ma avere consapevolezza del mezzo e dell’esposizione di ciò che scrivi può aiutarti a scegliere su quali parti concentrarti quando devi rispettare delle scadenze.
Quando non scriviamo per lavoro
Per concludere allarghiamo un po’ la prospettiva. Usare un linguaggio inclusivo è consigliabile anche nella vita di tutti i giorni. Siamo esseri sociali e non ci muoviamo nel vuoto stagno: curare il modo in cui ci esprimiamo può essere visto perlomeno come un atto di considerazione e altruismo verso chi ci legge o ascolta, specie quando non sappiamo chi è. Piccole abitudini quotidiane come usare “ti diamo il benvenuto”, evitare il “signorina” o non definire “donna” un uomo transgender possono pian piano arrivare a influenzare la realtà, abituando l’orecchio e le persone a una lingua più inclusiva.
Ciò non significa che dobbiamo strafare. Non serve stravolgere in modo artificioso la lingua al punto di dire Amen and awomen o sforzarsi di trovare un’alternativa non sessista a “connettore maschio/femmina”. Iniziative simili sono quasi sempre prive di fondamento linguistico, logico o sociale. Basta avere chiari alcuni concetti e lavorare di creatività e la scrittura inclusiva può essere tanto naturale e discreta da non farsi nemmeno notare. È ciò che ho cercato di fare in questa guida; mi dirai tu se ci sono riuscito o meno.

Non serve essere ministri o influencer da milioni di follower: tutti noi scriventi possiamo dare un contributo e, una parola dopo l’altra, rendere il nostro intorno sociale un po’ più equo, nei diritti e nei doveri. Possiamo fare la nostra parte in qualsiasi momento, da quando scriviamo per lavoro a quando pubblichiamo uno stato su Facebook. L’equità non è un obiettivo astratto e utopistico come sembra: uno studio del 2019 condotto in Svezia, paese dove la neutralità di genere si insegna anche a scuola, suggerisce una correlazione tra l’uso del pronome neutro hen e una riduzione dei comportamenti sessisti. Anche questo è il potere delle parole.
Ringraziamenti e saluti
Prima di tutto, grazie a te per aver letto fin qui: spero che ne sia valsa la pena.
Voglio poi citare le persone che hanno contribuito alla creazione di questa guida con spunti, risorse, consigli o semplicemente dedicandomi un po’ del loro tempo. Grazie quindi a Vera Gheno, Isabella Massardo, Licia Corbolante, Silvia Barra, Annamaria Anelli, Noemi Santarella, Alice Orrù, la redazione di effequ, Martina Testa, le nostre follower Alice e Giorgia, Elettra Tsikoudis, Gabri, Cece e Beatrice e Lily del TDM Lab.
È stato un piacere vederti da queste parti. Se vuoi darci un parere o hai altri consigli su come scrivere in modo inclusivo, lascia un commento oppure scrivici su Facebook, Instagram o Twitter. E se invece vuoi sostenere il nostro progetto e aiutarci a tenere questa guida aggiornata, puoi dare un’occhiata agli articoli del nostro negozio. A presto!
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Grazie molto completo e molto chiaro (il testo)
Lo ripubblico domani citando la parte EMA sulla pagina #Amigay che parla di questioni sanitarie….
Tuttavia nel mondo LGBTI questa è diventata ragione di lotte intestine tra persone LGBTI come sulle non meno complesse e ridondanti autodefinizioni.
Può aiutarci a dare una lettura anche alla complessità delle autodefinizioni e delle necessità di classificazione ad esempio in medicina o in psicologia o in sociologia o negli atti burocratici?
Grazie
Grazie per questo articolo! Riguardo all’idea di rompere la norma per i generi non binari, segnalo questo mio articolo in inglese a proposito della traduzione del singular they: https://thelinguist.uberflip.com/i/1149191-the-linguist-58-4-aug-sept-2019/7?m4=
E pensare che non avevo letto da nessuna parte la possibilità di usare la schwa, si vede che è una soluzione abbastanza naturale per chi mastica un po’ di linguistica!
Ho letto l’articolo, grazie per il contributo! E che coincidenza l’uso della schwa. Trovo curioso che persone diverse siano arrivate alla stessa conclusione senza parlarsi. Chissà che pian piano non si affermi come alternativa al maschile e femminile.
Post molto interessante ed esaustivo!
Mi chiedo soltanto una cosa: la soluzione dell’uso simmetrico non rischia comunque di escludere i non binari? Mi trovo a tradurre un videogioco e si suggerisce al giocatore di “ask a friend”. In questo caso, “chiedere a un amico o a un’amica” non sarebbe comunque una forma escludente rispetto ai non binari? In linea generale ho potuto usare altri escamotage per evitare il genere, ma mai la schwa o simili, quindi utilizzarla solo in un caso o in pochi casi all’interno del videogioco non avrebbe senso. Avevo pensato a “un membro del tuo gruppo di amici”, ma comunque con “amici” si utilizza il maschile con valenza neutra.
Qualche consiglio?
Grazie mille!
Sì, l’uso simmetrico esclude i generi non binari. Le varie strategie hanno pregi e difetti; la neutralità, ad esempio, se da un lato include tutti i tipi di persone, dall’altro “nasconde” la diversità, che è comunque un valore.
“Amico” è una parola difficile da neutralizzare. Nei videogiochi e nelle applicazioni in genere non c’è molto spazio, quindi ci si deve “arrendere” al maschile sovraesteso. Per esperienza personale, anche i clienti che chiedono di usare un linguaggio gender-neutral prevedono una priorità. Un maschile sovraesteso in un’interfaccia utente è più accettabile di uno in un’email.
Sebbene non sia contraria all’uso inclusivo di declinare i nomi delle professioni in base al genere, per quanto riguarda la mia di architetto rimango dell’idea esposta nel riquadro proposto. Purtroppo anni di svilimento di “-tetta” con battute allusive l’attributo fisico femminile, quasi fosse un plus integrante le competenze di categoria, me l’ha fatto cadere in disgrazia. E ormai ho una certa età.
Come ogni cosa vale il contesto e l’equilibrio ma personalmente mi firmo ancora con la “o”.
Grazie per questo articolo e relativi riferimenti, mi piace molto l’idea di prendere dimestichezza con l’inclusione e la valorizzazione anche nel quotidiano. Missione non facile.
Riprendo un post su Facebook di Vera Gheno di un paio di settimane fa:
Durante una partita, uno degli spettatori urla FALLO!.
Nessuno fa nemmeno un plissé, nessuno lo guarda con riprovazione o perplessità perché ha usato un termine casualmente identico a uno dei tanti sinonimi del membro virile.
Arriva la persona che deve progettarti casa e si presenta come l’ARCHITETTA Rossi: ridiventano tutti dei piccoli Pierino quinquenni che hanno appena scoperto la carica comunicativa esplosiva di CACCAPUPÙ; si danno di gomito, sorridono sornioni, gesticolano a indicare la dimensione delle (archi)tette dell’architetta.
Morale della favola? Boh. Traiamole insieme.
Non so se basterà a farti riconsiderare l’uso della -a, ma mi è venuto subito in mente. 🙂
Innanzitutto grazie per avers scritto questo articolo estremamente interessante! Vorrei fare una domanda. Giorni fa, discutendo con i miei amici su questioni di linguaggio inclusivo, mi è venuto in mente il mio professore che, entrando in una classe in cui c’erano più donne che uomini, ha salutato dicendo “Buongiorno ragazze”. Nella discussione io difendevo il mio professore sostenendo che fosse corretto, mentre i miei amici non sembravano convinti e ora non riesco a trovare effettivamente un documento che confermi la mia tesi. Inoltre, nonostante questo articolo sia estremamente chiaro su molti aspetti del linguaggio inclusivo, mi sembra che non riporti tale caso (o un caso simile). Posso chiedere cortesemente un chiarimento?
Ciao Maria Teresa. In effetti la guida non tocca l’argomento femminile sovraesteso: rimedieremo presto. Alma Sabatini lo consiglia per i gruppi a prevalenza femminile. Non è mai diventato una consuetudine e in qualche caso può suonare strano o essere inteso come escludente nei confronti dei maschi, proprio come il maschile sovraesteso nei confronti delle femmine. Dipende molto dalla sensibilità di ciascuna persona. Credo che in una situazione come la tua debba prevalere il dialogo: se la quota di maschi non è d’accordo, allora si potrebbe concordare una soluzione a metà strada tipo “Buongiorno ragazze e ragazzi”. Cosa ne pensi?