Tu quoque, Trieste!

Errori di traduzione nella città della SSLMIT

Trieste ospita una delle più prestigiose scuole di traduzione e interpretariato in Italia, eppure non è al riparo dalle TDM. In questa città i buoni traduttori non mancano, bisognerebbe giusto coinvolgerli un po’ di più: eccoti sei esempi in cui sarebbe stato meglio farlo.

Dal top al flop

Crocevia tra cultura mitteleuropea e mediterranea, Trieste è la città cosmopolita per eccellenza, famosa per le sue piazze, il suo porto e i suoi caffè letterari, dove si sono incontrati artisti e scrittori di ogni parte d’Europa. Tra i grandi nomi spicca quello di James Joyce, che si trasferì qui nei primi del Novecento per insegnare inglese alla Berlitz School. Il legame tra le lingue straniere e questa città è da sempre molto stretto, e non a caso Trieste vanta una delle più prestigiose scuole di traduzione e interpretariato in Italia: la Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori (SSLMIT). Tanto basterebbe per non vedere strafalcioni in giro per le sue strade. E invece…

1. La soluzione al tuo problema marziale

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Ci siamo scervellati, abbiamo cercato su siti web e dizionari, abbiamo persino chiesto un parere a Licia Corbolante, ma come ci ha confermato una follower madrelingua, martial problem non significa nulla. L’aggettivo martial, sovrapponibile all’italiano “marziale”, indica qualcosa di attinente alla guerra e l’abbinamento al sostantivo problem risulta quantomeno criptico. Problem si trova molto più spesso accompagnato dall’aggettivo marital, “coniugale”; ma anche ammesso che martial sia un refuso, la situazione non cambierebbe molto. Bisognerebbe andare a chiedere spiegazioni di persona. Ma visto che teniamo alle nostre esili braccine da traduttori, ci terremo il dubbio.

2. “Quante palle desidera?”

Inviata da Giulia

Cambiamo gelateria. Anche in questo cartello compare “per asporto”, ma qui è reso correttamente con to take away. Discutibile invece la scelta di ball per “pallina”: anche se la locuzione ball of ice cream sembra diffusa nell’uso comune, la traduzione inglese più corretta è scoop, che deriva dallo strumento utilizzato per servire il gelato. Oltre a essere più preciso, questo termine ha il pregio di evitare spiacevoli equivoci dovuti al doppio senso di balls. L’Acquario di Genova ne sa qualcosa.

3. TDM dal sottosuolo

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Tre righe, due errori. Andiamo con ordine. Enter è un verbo, non un sostantivo, e in ogni caso parkings doveva essere singolare secondo le regole grammaticali inglesi. L’effetto finale è un’espressione senza senso che avrà fatto sorridere più di una persona: “I parcheggi entrano”. Ma entrano dove? Un semplice parking entrance avrebbe risparmiato l’effetto tragicomico. Ma non finisce qui: cash machine non indica una cassa automatica, bensì un bancomat. Peccato che in questo caso il denaro non debba finire nel portafoglio, ma fare il percorso inverso. L’espressione pay station sarebbe stata di gran lunga più adeguata. Saremmo curiosi di sapere se la cassa dà o o meno il resto: visti i presupposti, non possiamo escludere che abbiano usato il classico give the rest.

4. Prendi e porta a casa

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L’apertura è già tutto un programma: you kindly begs mischia un soggetto di seconda persona con un verbo alla terza singolare e significa “tu (o voi) prega gentilmente”. To beg significa “implorare” o “supplicare”: sì una forma di preghiera, ma molto più drammatica. Discorso simile per abandon, non sbagliato ma più vicino all’accezione “abbandonare” o “lasciare per sempre”. Suit è la traduzione di “vestito” inteso come completo. Per “oggetti di valore” esiste una traduzione più corretta e meno letterale: valuables. E per concludere, to change e to bring away rispecchiano gli infiniti “cambiare” (non “cambiarsi“) e “portare via”, ma le forme imperative in inglese, personali o impersonali che siano, non richiedono il to. Più che i vestiti, qui bisogna portare via il cartello.

5. Che spettacolo… sconfortante

Fonte: L’Esercente triestino

Questa era la prima pagina di un opuscolo promozionale stampato in 400 copie fisiche, distribuito in formato digitale ad altre centinaia di hotel e reso scaricabile dal sito Discover Trieste a dicembre 2018. Salta subito all’occhio quel what’s, abbreviazione di what is, che trasforma l’esclamazione “Che spettacolo!” in una specie di domanda indiretta: “Cos’è uno spettacolo!” Ma l’opuscolo conteneva altri errori, soprattutto di battitura, e alcune parti lasciate in italiano. Non proprio un bel biglietto da visita per la città, tanto che l’assessora ai teatri di Trieste si è dovuta scusare per l’accaduto. La causa di questi strafalcioni? Sempre secondo l’assessora, una combinazione di sviste umane e correzione automatica. A noi sembra più plausibile la prima’s.

6. Per andare dove dobbiamo andare…

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Indicazioni così confusionarie non si sentivano dai tempi di Totò a Milano. E come ci ha mostrato uno dei nostri follower, in questo caso è tutta farina del sacco di Google Traduttore. Ma il (de)merito di questo pasticcio non si può attribuire solo al famoso motore di machine translation: l’assenza di punteggiatura e la sbrigatività con cui l’autore ha fornito le informazioni in italiano tradiscono un certo disinteresse per la comprensione da parte del lettore. Un esempio di riscrittura? “I biglietti per l’aliscafo possono essere acquistati al capannone giallo (girare a sinistra e andare dritto)”. In questo modo anche la traduzione in inglese sarebbe stata più facile da elaborare. Una curiosità: grazie a questo cartello siamo diventati virali per un giorno. Non che la cosa ci abbia fatto montare la testa, ma per gli autografi vi chiediamo di mettervi in contatto con il nostro agente.

Che dire? A Trieste i buoni traduttori non mancano, bisognerebbe giusto coinvolgerli un po’ di più! Ma se c’è una cosa che abbiamo imparato insozzando l’Internet dal 2014, è che nessuna città è al riparo alle TDM. E se ne avvisti una, inviacela su Facebook, Instagram o Twitter!

L’immagine di copertina è di Lily F. S.


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