5 domande a Parole Migranti

Traduttrici editoriali a sei mani

Con che voce si traduce (o ritraduce) un classico? Come si può lavorare sullo stesso testo in tre? A che sport assomiglia la traduzione? Hanno risposto per noi a queste e altre domande Ilaria, Cristina e Martina di Parole Migranti.

Cosa provate e cosa pensate quando vedete una TDM?

La prima cosa che facciamo quando troviamo una TDM è fotografarla e mandarla subito sul nostro gruppo whatsapp per farci una bella risata! Sì, perché spesso le TDM sono così brutte che strappano subito un sorriso. Anzi, alcune volte ci piace mettere alla prova Google Traduttore e vedere quanti danni potrebbe fare  e quanti clienti ci farebbe perdere!  se ci affidassimo a questo strumento.

Il problema nasce quando troviamo traduzioni mal fatte su siti di aziende, musei, ristoranti, università e così via. Ce ne sono davvero ovunque e per tutti i gusti. In questo caso, entra in gioco la traduttrice che è in noi e la reazione è più che altro di rabbia e dispiacere. Non è bello vedere un lavoro sciatto e poco curato, soprattutto per quelle realtà che dovrebbero usare come punto di forza l’uso di più lingue. La domanda che ci poniamo è sempre la stessa: perché non si sono affidati a un bravo traduttore? Ancora adesso non siamo riuscite a darci una risposta definitiva!

La TDM che ci è rimasta nel cuore, l’abbiamo incontrata qualche anno fa a Lerici, incantevole paesino della Liguria: eravamo a cena fuori in un ristorante tipico del posto, molto famoso per i “muscoli alla marinara”. I muscoli, per i Liguri, non sono altro che le cozze. Diamo un’occhiata al menù, facciamo però l’errore di leggere la parte in inglese. Ed eccola lì, seconda riga, scritta a mano in stampatello, l’incriminata traduzione: marinated muscles. Per un attimo abbiamo temuto il peggio, ma poi si è risolto tutto per il meglio: uno sguardo di intesa e una bella scorpacciata di cozze freschissime!

I menù dei ristoranti regalano sempre delle gioie (post originale)

Rispetto alla traduzione editoriale, la traduzione tecnica o la localizzazione sono ambiti di serie B? Oppure sono discipline simili ma distinte, tipo il rugby o il football americano?

Non ci piace parlare di discipline di serie A e di serie B, pensiamo piuttosto che la traduzione editoriale e quella tecnica siano due cose diverse, perché diverso è il loro scopo. Le parole hanno sempre un peso, sia in una traduzione tecnica sia in una traduzione editoriale. Quello che cambia, però, è che dietro una traduzione editoriale non c’è solo una lingua, ma tutto l’universo di un autore: la sua cultura, la Storia del suo paese, le sue esperienze personali. Queste cose vanno tenute in considerazione quando si traduce un testo letterario perché, se lasciate in secondo piano, possono davvero compromettere la buona riuscita della traduzione.

Anche nelle traduzioni tecniche ci sono sicuramente difficoltà e fattori da tenere in considerazione, diversi ma altrettanto importanti. Non osiamo immaginare cosa potrebbe succedere se una sentenza venisse male interpretata o tradotta da un traduttore che non sa nulla in materia, non sa come leggere il testo e non sa dove e come informarsi. Quindi sì, come nel rugby e nel football americano, cambiano le regole e le modalità di vincere la partita.

Piccola confidenza: abbiamo tanta stima per i traduttori tecnici, e ci ricordiamo con il sorriso l’esame di TRADOS all’università, è stato un vero incubo!

[Leggi la risposta a questa stessa domanda di Marina Invernizzi di Langue&Parole.]

Immaginate di dover tradurre un romanzo scritto più di cento anni fa. Che lingua sceglierete tra una fedele ma antiquata e potenzialmente ostica e una infedele ma moderna e più digeribile?

Che domanda complicata, potremmo stare qui a parlarne per ore! Prima di tutto, ci piace sempre ricordare che il concetto di fedeltà, in traduzione, è molto delicato. E che non sempre, quando si traduce un classico, la scelta di una lingua antiquata corrisponde alla scelta più fedele. Anzi! Se pensiamo ai grandi classici della letteratura, Anna Karenina ad esempio, nell’ultima e bellissima traduzione di Claudia Zonghetti per Einaudi, pensiamo a una lingua fresca, immediata e comprensibile pur con qualche riferimento a un’epoca altra e lontana. Anzi, storicizzare un testo, ovverosia ricreare una lingua fittizia che immaginiamo possa essere quella usata nell’Ottocento, potrebbe ridicolizzarlo e renderlo artefatto. Sicuramente Anna non si rivolgerebbe mai a Vronskij dicendogli «bella zi’», però bisogna fare attenzione anche a non esagerare nell’altro senso.

È un po’ come pensare alle forme di cortesia: diamo del lei, o diamo del voi? I nostri personaggi si darebbero sicuramente del “lei”, anche e soprattutto in un romanzo dell’Ottocento. Un altro concetto da superare è che non è vero che il “voi”, come forma di cortesia, è più elevato. Basti pensare ai Promessi Sposi e alla tripartizione “tu”, “voi” e “lei”. Quindi, per concludere, se dovessimo tradurre un grande classico della letteratura, faremmo un lavoro molto meticoloso sulla lingua, cercando di riprodurre lo stile dell’autore ma senza creare una lingua antica, che risuonerebbe sicuramente poco reale.

«Ti porgo i miei ossequi, fratellì»

Scrivere e tradurre sono per antonomasia attività individuali. Voi come riuscite a lavorare in tre sullo stesso testo senza arrivare a togliervi il saluto subito dopo la consegna?

Domanda pungente, ma azzeccatissima! In effetti ce lo chiedono in tanti, ma per noi lavorare insieme è molto naturale. Forse perché abbiamo cominciato così, o forse perché prima di essere colleghe siamo grandi amiche. La sintonia tra di noi è autentica e si basa su un rapporto di massimo rispetto, di reciproca stima e di fiducia. Ci conosciamo bene, sappiamo i punti di forza di una e dell’altra e la traduzione collaborativa ci permette di sfruttarli a nostro favore. Allo stesso modo, riusciamo a minimizzare gli errori (pensiamo soprattutto ai calchi) e a superare i nostri limiti personali. La traduzione collaborativa ha tantissimi vantaggi: se più menti ragionano sul testo, si moltiplicano le possibilità di interpretazione e si arriva a definire meglio la strada giusta da prendere. Aumentano il controllo, la coesione interna del testo e la creatività. Per noi tradurre insieme è anche molto riposante, ci sentiamo più sicure perché distribuiamo il peso della responsabilità su più spalle.

Poi, certo, non è sempre tutto rosa e fiori. Ci sono anche alcuni svantaggi, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche (la macchina a volte è più lenta e i tempi sono più lunghi), e possono capitare anche momenti no. Non è sempre facile confrontarsi e ci sono volte in cui il dibattito si fa più acceso e ci si scontra per far valere la propria opinione soprattutto quando si tratta di decidere la resa più riuscita, o di mantenere un certo registro, una ripetizione… persino una virgola! Il nostro dialogo è sempre costruttivo e siamo certe che collaborando si può imparare sempre qualcosa nuovo. Questo è il potenziale del nostro metodo, e ci sforziamo sempre di ricordarlo. Anche quando ci “scanniamo”  in senso buono  per una parola o una struttura sintattica.

Se doveste paragonare la traduzione a uno sport o un’attività fisica, quale scegliereste e perché?

Per rispondere, partiamo da quello che la traduzione rappresenta per noi. La traduzione è un’arte perché, alimentata dalla passione, cerca di riprodurre la bellezza. Ma tradurre richiede anche una grande umiltà: si presta la propria voce a qualcuno che ha già parlato. Il traduttore deve avere la capacità straordinaria di essere presente, ma invisibile e deve lavorare sotto, addirittura dentro il testo. Ecco cosa fa: si mimetizza tra le frasi. Quante volte si dice che una traduzione per essere bella, non deve sembrare una traduzione? E, ultimissima cosa, il traduttore deve essere versatile e avere una grande coordinazione. Ci sono sempre tanti aspetti da considerare: le differenze linguistiche e culturali, lo stile e le specificità di un testo o di un autore, il ritmo. Anche l’orecchio vuole la sua parte quando si traduce. Questi ragionamenti valgono soprattutto per la traduzione letteraria, ma possono essere estesi a qualsiasi traduzione. Spesso è l’approccio con cui si traduce a fare la differenza, non il tipo di testo!

Scegliamo quindi uno sport che sia un compendio di tutte queste qualità. Forza, ritmo, coordinazione e “invisibilità”: il nuoto sincronizzato! E quest’idea ci piace ancora di più visto che è uno sport di squadra, proprio come noi. Si addice alla nostra personalità e ai nostri interessi. Ilaria è energica e dinamica, Martina ama il mare ed è sicuramente la più acquatica del gruppo e Cristina ama la danza e le piroette. Quindi sì, se la traduzione fosse uno sport sarebbe il nuoto sincronizzato.

[Abbiamo fatto la stessa domanda anche alle nostre community su Facebook, Instagram e Twitter: il nuoto sincronizzato ci mancava!]

Questa intervista fa parte della serie 5 domande. Facci sapere cosa ne pensi nei commenti oppure sulle nostre pagine Facebook, Instagram e Twitter.


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Scritto da

Ruben Vitiello

20 Post:

Italiano a Barcellona, traduttore barbaro, amministratore della TDM.
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