5 domande a Carlos la Orden Tovar
Traduttore, localizzatore e condirettore di programma per Elia Together
Una laurea in traduzione è davvero fondamentale per fare il traduttore? Cosa deve fare un freelance per arrivare a guadagnarsi da vivere senza svendersi? Come possiamo non farci rimpiazzare dalla traduzione automatica? Ha risposto per noi a queste e altre domande Carlos la Orden Tovar, in arte InsideLoc, traduttore, localizzatore e condirettore di programma per Elia Together.

Cosa provi e cosa pensi quando vedi una TDM?
Sicuramente provo la stessa sensazione che prova un umarell di fronte a un muretto fatto coi piedi: disagio profondo. Poi, dato la lingua è il mio strumento di lavoro principale, sento il bisogno perentorio di agire e sistemare la situazione, anche se a volte il contesto non lo permette. Tuttavia, dopo le logiche risate e l’eventuale condivisione di meme, mi piace analizzare e contestualizzare la TDM. Spesso, come fate voi sulla vostra pagina, possiamo prendere questi errori palesi come spunto per illustrare norme sull’uso corretto della lingua, ergo c’è una finalità didattica. A volte però viene solo la voglia di instaurare il delitto di offesa al patrimonio linguistico con tanto di pene da scontare per certe persone che, ogni volta che usano una tastiera o prendono una penna, fanno piangere Dante.

Pubblichiamo spesso esempi di traduzioni automatiche disastrose, ma esistono motori molto potenti in grado di restituire risultati di qualità impressionante, e comunque la resa è destinata a migliorare in modo esponenziale nei prossimi anni. Cosa dobbiamo fare noi traduttori umani per non farci rimpiazzare?
Sapevate che la traduzione automatica esiste dal 1930, quando ancora non c’erano i computer? È iniziato tutto quando un gruppo di scienziati russi crearono un metodo con delle schede per risolvere in modo automatico problemi legati all’ambiguità di certe traduzioni tra due lingue. E praticamente fin dall’inizio si parla di come questo mostro avrebbe finito per sostituire la figura del traduttore umano. Nel 1991, con l’arrivo della traduzione automatica statistica, in molti erano CERTI che le macchine sarebbero state in grado di produrre traduzioni con qualità umana in certi ambiti… Eppure, noi umani siamo sempre qui.

La traduzione automatica si può usare in tanti modi, e ci sono contesti che non richiedono una traduzione perfetta: (cataloghi, testi meccanici e poco articolati usa e getta), dove ci si può avvalere di una traduzione automatica senza post-editing. Ma questa ma non lo possiamo considerare concorrenza: chi richiede questo servizio non VUOLE un servizio professionale per motivi economici e pratici, quindi non potrebbero diventare mai i clienti di un traduttore professionale.
Dicevo all’ultima edizione della Giornata del Traduttore a Pisa che la traduzione automatica è uno strumento e non un attore. Indubbiamente ha fatto passi enormi e si può applicare con risultati più che decenti in determinati tipi di testo (fidatevi, niente a che vedere con i disastri che pubblichiamo per far ridere). Nonostante ciò, non è in grado di cogliere le sfumature, le intenzioni e non sa leggere tra le righe, perché non è in grado di INTERPRETARE la lingua, ma si basa su algoritmi freddi. Non è una questione poetica, ma puramente pragmatica: solo i traduttori sono in grado di capire il messaggio e portarlo in un’altra lingua mantenendone l’intenzione e il contesto per renderlo efficace.

Visto che suoni la chitarra, saprai che alcuni dei chitarristi più apprezzati di sempre sono (o erano) autodidatti. Un musicista senza formazione scolastica ma con un buon orecchio e molta sensibilità può raggiungere il pubblico molto meglio di un diplomato al conservatorio. Per contro, l’idea che esistano traduttori professionisti senza formazione universitaria specifica per alcuni laureati è inaccettabile. Tu come la vedi?
Da musicista autodidatta e traduttore di formazione, darò una risposta di “centro moderato”. Ad oggi, l’offerta formativa per chi vuole diventare traduttore è veramente enorme: lauree specialistiche, master universitari, corsi di approfondimento presenziali e online, laboratori… C’è l’imbarazzo della scelta. Ritengo tuttora che, per via della natura sempre in evoluzione del nostro lavoro, i traduttori più bravi non sono quelli che più corsi frequentano e più contenuti assimilano, ma quelli che riescono a trovare più soluzioni a problemi reali riscontrati nella pratica.
Ovviamente, la base teorica aiuta non poco a risolvere questioni linguistiche e tecniche spesso inedite, ma la laurea non è una condizione sine qua non per sviluppare delle competenze professionali. Avremo logicamente certi buchi che dovremo compensare con formazione aggiuntiva, imprescindibile in qualsiasi fase della nostra carriera, ma potrei citare decine di traduttori estremamente bravi che non hanno una laurea in traduzione, ma sì una formazione accademica solida e un percorso lavorativo in grado di compensare questa mancanza.

Dobbiamo ricordare, ad ogni modo, che la Laurea in Traduzione e quella in Mediazione Linguistica sono percorsi accademici creati molto recentemente: fino a qualche anno fa, il compito di tradurre ricadeva su filologi, filosofi, scrittori e persino biologi, ingegneri e altre figure specializzate con, ovviamente, delle competenze linguistiche notevoli. Infine, chi ha maturato un’esperienza decennale nel campo della traduzione, pur senza laurea, non deve essere paragonato al cuggino laureando che ha passato due mesi a Londra “ed è tanto bravo in inglese”. Le competenze si acquisiscono e perfezionano durante tutta la vita, e la laurea è soltanto un punto di partenza; saldo, certo, ma non sufficiente per garantire la bravura a vita.

Sei molto attivo su Twitter e LinkedIn e ti seguono molti linguisti italiani, spagnoli e inglesi. Parlare di traduzione sui social network serve solo ai traduttori oppure è possibile che spunti, osservazioni e critiche escano dalla bolla e arrivino a un pubblico di non addetti ai lavori?
Anche se spesso mi rivolgo a traduttori, so che il pubblico sui social è più ampio e include persone con interessi molto diversi dalla traduzione e altri argomenti legati alle lingue. Cerco di approfittare di questa visibilità per lanciare frecciatine a utenti, media e a volte amici e clienti, sempre con leggerezza e ironia, ma anche per parlare di errori di traduzione e di usi della lingua non proprio brillanti, senza toni accademici. Nessuno vuole farsi rimproverare da un saputello su un social che sta usando per svago, ma se un consiglio ti desta un sorriso e ti serve per scherzare mentre impari, funziona molto meglio che imporlo con le cattive.
A guardare le mie statistiche e quelle dei miei colleghi più visibili sui social, molti dei post più gettonati riguardano proprio errori di traduzione o grammaticali, oppure problemi legati al nostro lavoro in cui tanti si rispecchiano, e questo spinge gli utenti a commentarli e condividerli. Quando capita, dico tra me e me “Missione compiuta!”: non per la fama usa e getta del post in questione, che non porta a nulla, ma per aver aumentato la consapevolezza sul mestiere del traduttore!

Arrivare a guadagnare bene come freelance non è facile. Un po’ per i clienti e le agenzie, che spesso chiedono molto e pagano molto poco, ma soprattutto per la concorrenza di migliaia di traduttori, che può spingere ad accettare qualche centesimo in meno pur di non restare senza lavoro. Qual è il confine tra svendersi ed essere competitivi?
Il confine è lo specchio: è guardarti, dritto negli occhi, e ritenerti soddisfatto del lavoro che hai svolto in cambio della tariffa che hai accettato. Se hai rimorsi di qualsiasi tipo, oppure sei troppo stanco perché hai dovuto compiere uno sforzo immane per portare a fine un progetto per il quale ti hanno pagato il giusto, in quel caso avrai delle cose da sistemare.
Chiaramente ci sono (pseudo)traduttori che accettano condizioni misere dettate spesso dalla fame, che però forniscono un servizio scadente. Ai traduttori di formazione dico: questi non sono la vera concorrenza. Le persone che non vogliono pagare un servizio come quello che siamo in grado di offrire e ricorrono a soluzioni da battaglia, non potrebbero mai diventare nostri clienti. Loro si accontentano di giocare in serie C2, mentre noi offriamo un servizio di serie A (o al massimo B!), il che si riflette nel prezzo.

Spesso dimentichiamo che il mercato siamo anche noi. Non si tratta solo di quanto vuole pagare il cliente, ma dagli standard che fissiamo come fornitori di un servizio di qualità, a volte sottovalutato per la scarsa conoscenza che il pubblico ha del nostro lavoro. Sta a noi aumentare questa consapevolezza generale. Come dice una mia carissima collega, Reyes Bermejo: «Non passa un solo giorno senza che io dica a amici, parenti e persino al salumiere che sono traduttrice; quando non sanno in cosa consiste, eccomi pronta a spiegarlo». Più parliamo del nostro mestiere, più valore verrà percepito nel nostro intorno. E se siamo in tanti a farlo, nella società in generale, più la gente riconoscerà la nostra funzione di ponte tra culture e persone… e magari arriveremo anche a una retribuzione più giusta!
Questa intervista fa parte della serie 5 domande. Facci sapere cosa ne pensi nei commenti oppure sulle nostre pagine Facebook, Instagram e Twitter.