5 anni di TDM – La Traduzione di Merda
Una chiacchierata su traduzione, social network e linguaggio digitale
Ruben: Manuel, il 18 maggio 2014 pubblicavi il primo post. In quel momento ti aspettavi che la pagina sarebbe arrivata a compiere 5 anni, avere più di 28.000 follower su tre social e un sito tutto suo?
Manuel: Allora, sono molte domande. Probabilmente sì, la pagina sarebbe durata 5 anni però magari accantonata in un angolo dimenticato di Facebook. La cosa che sicuramente non mi aspettavo era che avrebbe raggiunto più di 28 follower, figuriamoci 28.000! Devo dire che il successo della pagina è stata una sorpresa, ovviamente piacevole.
R: Cosa avevi in mente quando l’hai creata? Nel senso, come ti è venuta l’idea?
M: Mi ero laureato da poco e mi stavo confrontando con la realtà del laureato in mediazione linguistica, che si vede soffiare lavori potenzialmente compatibili con il suo percorso di studi da gente con preparazione in economia, in ingegneria, che magari le lingue non le sa ma ti passa davanti perché ha titoli più appetibili. Nella costante ricerca di lavoro, e nella frustrazione che comportava, ho deciso di dare sfogo al sentimento di ingiustizia che sentivo dentro di me. Che a posteriori era anche un po’ immotivato, perché è normale far fatica a trovare lavoro nei primi mesi dopo la laurea.
R: Quindi hai pensato di sfogarti mettendo alla berlina i danni delle cattive traduzioni.
M: Sì, non ti nascondo che è nata con un intento polemico. Volevo denunciare quali sono i danni di immagine prodotti da traduttori non professionisti o dilettanti. Poi però ho visto che l’approccio polemico e vittimista piaceva poco, e comunque non piaceva neanche a me. Le cose sono iniziate a cambiare quando l’ho buttata più sul ridere. Facevo ancora qualche post serio, magari su errori di traduzioni eclatanti in contesti istituzionali, tipo from sheep to doggy style [sul sito del Miur], ma inseriti in un numero molto maggiore di post per farsi due risate. Perché una traduzione fatta male può generare sì indignazione, ma molte volte anche divertire.
R: È meglio prenderla sul ridere, insomma.
M: Sì, anche perché difficilmente ricevevo post di denuncia. Molto del materiale che ricevevo erano traduzioni fatte male che avevano effetti esilaranti. E alla fine divertiva anche me continuare sull’approccio della leggerezza.
R: Ma come hai iniziato? Immagino che le foto abbiano iniziato ad arrivarti solo quando la pagina è diventata un po’ più famosa.
M: I post dei primi mesi erano tutte cose mie, ma ho iniziato a ricevere messaggi abbastanza presto, anche perché tra i miei amici della scuola interpreti di Trieste e di Forlì la pagina non ci ha messo tanto ad avere qualche centinaio di follower.
R: Insomma stava diventato un megafono per l’indignazione di tutte le facoltà di lingue italiane, anche perché nel 2014 non credo ci fossero altre pagine simili.
M: Confesso di essermi ispirato un po’ alla famosa pagina Il Coinquilino di Merda, che aveva e credo che tutt’ora abbia ben più follower della nostra, anche perché parla alla comunità degli studenti in generale. Pagine a tema traduzione, con mia sorpresa, in realtà non ce n’erano. Però ad esempio in Francia esisteva Bescherelle ta mère, che postava screenshot e foto di francese maccheronico. Ma ancora, era una pagina sulla lingua francese e non sulla traduzione in sé.
R: Senti, per continuare sul tema Internet e social. Tu insegni in un liceo.
M: Sì. Seguo dalla prima alla terza superiore, quindi ragazzi dai quattordici ai diciassette.
R: Ecco, mi viene in mente quando alla loro età giocavo a giochi come Street Fighter, Metal Slug o Final Fantasy VII. Dato che non erano localizzati, sono stati tra i miei primi banchi di prova pratici con l’inglese. Oggi un nativo digitale ha a disposizione molte più risorse di quante ne avessimo noi alla stessa età. Secondo te, poter accedere a una montagna di informazioni tra Facebook, videogame, YouTube eccetera, li aiuta a imparare le lingue straniere oppure li confonde?
M: Allora, sono vere entrambe le cose. Mi capita di vedere ragazzi che rispetto a quando avevo la loro età sono molto più preparati di me perché passano ore e ore sui videogiochi, o a guardare TED Talk oppure i gamer che giocano live su YouTube. Hanno molto più accesso alla lingua inglese rispetto a quello che avevo io alla loro età e questo sicuramente li avvantaggia. È anche vero però che questa sovraesposizione – una cosa che in realtà interessa tutta la comunità linguistica italiana – li rende a volte un po’ confusi su questa intrusione macroscopica dell’inglese nella nostra lingua. Per farti un esempio, una volta una ragazza di seconda mi ha lasciato guest in inglese in un esercizio di traduzione perché pensava che si dicesse così anche italiano.
R: Sì, gestendo la pagina mi sembra di vedere che questa sovraesposizione, che dà luogo all’itanglese e ai calchi sintattici o addirittura ci fa dimenticare le parole in italiano, sia un problema molto diffuso.
M: Mi rendo conto che è un fenomeno fisiologico, perché il contatto linguistico da che mondo è mondo è sempre esistito. Le lingue si sono sempre evolute in una certa direzione, però non erano mai entrate in contatto nel contesto della società globale digitalizzata. Questo tipo di contatto è nuovo, e mi sento di dire diverso rispetto a quelli che si sono verificati in passato. Una volta i termini stranieri entravano nell’uso tramite prestiti, dominazioni militari, imposizione di culture dominanti rispetto a culture di nicchia. Adesso siamo letteralmente bombardati da neologismi, prestiti, calchi. Le parole straniere non hanno tempo di acclimatarsi, di gettare le radici nel suolo della lingua italiana. Mi sembra che prendiamo i prestiti a una velocità tale che non ci abitua a riflettere sul significato vero delle parole. Vediamo una cosa nuova e la prendiamo, così, istantaneamente, proprio perché la Rete ci rende disponibile in maniera istantanea una quantità di parole che cent’anni fa avrebbero impiegato forse decine di anni prima di entrare nell’uso.
R: E secondo te una pagina Facebook può fare qualcosa per correggere un po’ il tiro, oppure aiutare una nuova generazione un po’ confusa a distinguere l’itanglese dall’italiano? Ogni riferimento a La Traduzione di Merda è puramente casuale.
M: [ride] Quello che può fare una pagina Facebook o un sito sicuramente non è invertire la tendenza, ma quantomeno cercare di aumentare la consapevolezza linguistica del singolo. C’è da dire che non credo che questi canali diventeranno mai mainstream. Sono cose che conoscono gli addetti ai lavori, che quindi hanno già una loro consapevolezza e magari vanno a documentarsi per aggiornare o approfondire determinati temi. Mi viene in mente il sito Terminologia etc.
R: Certo, Licia Corbolante. Condivido spesso i suoi articoli, sono sempre tra i più letti e ricondivisi. A me però vengono in mente anche le pagine Facebook e Instagram della Treccani, che usano dei linguaggi nuovi come le storie, i meme o pezzi di canzoni trap per arrivare anche a chi, come dicevi tu, non è un addetto ai lavori.
M: Sì, secondo me la cosa che si può fare è scherzarci su e fare un lavoro di approfondimento e ragionamento, ma specialmente in questo momento politico fare pagine a difesa dell’italiano rischia di essere travisato. Bene continuare così, ma resta il fatto che è una tendenza che non penso si possa invertire. Io ad esempio insegno inglese ma insegno anche italiano, di riflesso. La cosa che cerco di insegnare ai miei studenti è appunto distinguere le due cose e capire perché si usa una parola in inglese e perché se ne usa un’altra in italiano.
R: Ma già che stiamo parlando tanto di Facebook: tu l’hai lasciato. Perché? Non credi che sia un luogo adatto a discutere?
M: Esatto. Mi è dispiaciuto lasciarlo per una serie di motivi. Per tutte le cose che mi facevano divertire, come le pagine tipo Ventenni che piangono leggendo la saga di Paperon de’ Paperoni, e ovviamente per la mia pagina. Però trovo che per certi versi stia diventando un social superato, ora va molto più Instagram, e poi per sua natura si presta molto alla condivisione di bufale e fake news. Di nuovo, si torna alla capacità di discernere, di riflettere, di essere in grado di distinguere tra una notizia attendibile e una non attendibile, proprio come di distinguere quando usare l’inglese e quando l’italiano. L’altro motivo grande è che vedevo spesso commenti pieni di odio, insulti, discorsi violenti. Non avevo bisogno di quelle cose, quindi ho detto basta.
R: Questa infatti è una cosa a cui tengo tanto, da gestore di una pagina. C’è da dire che la nostra community di follower è molto educata, anche quando propongo argomenti un po’ più polarizzanti. Ad esempio, qualche tempo fa avevo fatto un post per chiedergli se per loro fosse più o meno giusto tradurre senza una laurea in traduzione. Ho visto che nonostante si siano scontrate opinioni molto nette non ho dovuto fare nulla per mantenere nei margini la discussione. Io credo che una pagina possa diventare uno spazio di discussione e condivisione, anche per questo nei post cerco sempre di essere il più possibile imparziale: voglio che sia la community a parlare. Non so se hai presente il lavoro che fanno Vera Gheno e Bruno Mastroianni.
M: Conosco Vera Gheno. Ha partecipato a Parole Ostili, giusto?
R: Sì, anche. Comunque, loro due portano avanti una lavoro divulgativo molto interessante sull’uso consapevole dei social. Io penso che al netto di tutti i difetti che può avere, Facebook si può utilizzare per informare e discutere. Bisogna fare però molta attenzione, specie quando sei autore di una pagina e puoi essere responsabile della diffusione di imprecisioni o notizie false. Ad esempio, una volta ho condiviso un articolo che parlava di un errore di traduzione in francese, ma sono bastati pochi minuti perché alcuni utenti rispondessero che era inattendibile. È stato l’unico caso in cui ho cancellato un post, proprio perché non volevo contribuire alla diffusione di una bufala linguistica.
M: Giusto, è il discorso di prima.
R: Ultima domanda e poi chiudiamo. Anche se non sei più su Facebook continui a seguire da vicino la pagina: come vorresti vedere evolvere la tua creatura in futuro?
M: Allora, mi piacerebbe vedere un po’ più di attività su Instagram, anche per acchiappare quelle persone che magari se ne sono andate da Facebook, e poi sì, che il sito vada avanti. Mi piacerebbe poi realizzare un po’ di merchandising, anche per cambiare un po’ i media e non rimanere solo sui social. Di sicuro vorrei che la pagina continuasse sulla linea della leggerezza.
R: Per il merchandise ho già qualche idea in mente. Ne riparliamo. Per la leggerezza invece puoi contarci: resterà sempre la nostra linea.
Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.
Italo Calvino
Manuel Draicchio ha fondato la pagina Facebook TDM – La Traduzione di Merda nel lontano 2014. Laureato alla Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori di Trieste, si è successivamente specializzato in Linguistica all’Università di Padova. Attualmente vive e lavora a Milano, dove insegna inglese in un liceo.
Ruben Vitiello ha raccolto il testimone di Manuel verso metà 2016. Ha un master in Localizzazione dell’Agenzia tuttoEUROPA di Torino e lavora come traduttore dal 2011, prima come dipendente poi come freelance. Al momento contribuisce ad aumentare il già apprezzabile numero di italiani emigrati a Barcellona.
L’immagine di copertina è di Annie Spratt (Unsplash).