11 traduzioni sbagliate o controverse nella Bibbia

Errori, dispute e incertezze nelle traduzioni dei testi biblici

Eva è una costola di Adamo o la sua metà? Cosa deve passare nella cruna nell’ago: un cammello o una fune? E il Dio dell’Antico Testamento è una divinità oppure una moltitudine di alieni? La Bibbia non è esente da errori e interpretazioni controverse. E nell’intricata storia delle sue traduzioni non mancano discussioni, scismi, scomuniche e roghi di libri e di persone.

Una babele di libri

Uno dei libri più diffusi di tutti i tempi, tra i primi volumi a essere stampati da Gutenberg, testo sacro per l’ebraismo e il cristianesimo, e fondamentale per la cultura occidentale: al di là delle credenze individuali, la Bibbia riveste un’enorme importanza nella storia umana da oltre due millenni. Per limitarci all’ambito delle parole, basti pensare a quanti proverbi e modi di dire ci arrivano proprio dalla Bibbia, o all’influenza sulla letteratura che ha esercitato nel corso dei secoli. Tuttavia, sbaglieremmo a immaginarci un testo unico, omogeneo e costante nel tempo. E dato che ricostruire il testo originale è quasi impossibile, non è affatto semplice stabilire quando ci troviamo di fronte a un errore di traduzione.

Il nome deriva dal latino medievale biblia, che a sua volta viene dal greco tà biblìa (τὰ βιβλία), ovvero “i libri”. Un plurale significativo: la Bibbia è una raccolta di testi redatti da diverse civiltà, in diversi momenti storici e in più lingue, e appartenenti a vari generi letterari, come miti di fondazione, racconti eziologici, proverbi, norme e poesia, solo per citarne alcuni. L’Antico Testamento, che costituisce la prima metà della Bibbia cristiana, si basa sul Tanakh, testo sacro dell’ebraismo, redatto in ebraico con alcune parti in aramaico nel corso del I millennio a.C. La religione cristiana contempla anche una seconda raccolta di scritture, il Nuovo Testamento, i cui testi risalgono al I secolo d.C. e ci sono giunti perlopiù in greco alessandrino.

Come andarono veramente le cose (xkcd)

… e una babele di traduzioni

La prima traduzione in greco delle scritture ebraiche, chiamata Septuaginta o Versione dei Settanta, risale al III-II secolo a.C.; contiene però alcuni libri in più rispetto al canone del Tanakh. Successiva è la Vulgata, una traduzione in latino di Antico e Nuovo Testamento redatta alla fine del IV secolo d.C.; l’autore fu Sofronio Eusebio Girolamo (più noto come San Girolamo, patrono dei traduttori), che scelse di basarsi soprattutto sul testo ebraico per mantenersi il più possibile fedele all’originale. Già anticamente si disputava su quale fosse la versione di riferimento: puoi immaginare quanto si siano complicate le cose con l’avvicendarsi delle traduzioni nelle varie lingue nel corso dei secoli.

I think he said, Blessed be the cheesemakers” (dal film “Monty Python’s Life of Brian)

Nell’arco della storia, le discussioni sulla traduzione della Bibbia hanno causato scismi, scomuniche ed esecuzioni. In certe epoche tradurre la Bibbia era un atto eretico o illegale, e chi non conosceva le lettere doveva affidarsi ai sermoni della messa per conoscere le storie sacre. Nell’Inghilterra del XIV secolo, per esempio, il riformatore John Wycliffe fu scomunicato e messo al rogo per aver tradotto la Vulgata in inglese… vent’anni dopo la sua morte! E anche senza il rischio di finire sulla pira, la Bibbia è ancora oggi un argomento scottante e difficile da trattare. Dal canto mio, nel compilare questo elenco di 11 traduzioni sbagliate o controverse nella Bibbia ho consultato varie fonti online e cartacee, cercando di verificarne l’attendibilità e sforzandomi di riassumere la situazione in modo chiaro ed equilibrato. Se vuoi aggiungere spunti o suggerire modifiche, lascia pure un commento qui sotto. Cominciamo!

1. Costolette adamitiche

Prendete una costola. Fffatto? (Initiale – IRHT)

Hai mai sentito la credenza popolare secondo cui gli uomini avrebbero una costola in meno delle donne? La leggenda trae origine dalla Genesi, il primo libro del Tanakh e dell’Antico Testamento, che racconta della creazione dell’universo. Dopo aver creato Adamo, il primo essere umano, Dio lo addormenta, gli sottrae una costola e da quella forma Eva. Molti commenti contestano però tale versione, argomentando che la parola ebraica tselah (צלע) significherebbe propriamente “fianco”, “metà” o “lato” e non “costola”, come provato da altri passi biblici. Secondo altre interpretazioni, tuttavia, “costola” resta la traduzione corretta in quello specifico contesto.

Per una parte di letteratura rabbinica, traducendo con “lato” si rivela il vero significato di questo passaggio della Genesi: in origine, uomo e donna erano un solo essere ermafrodita, che Dio divise a metà per convenienza. Una leggenda simile si trova anche in storie non appartenenti alla Bibbia, come il mito di Aristofane raccontato da Platone. La missionaria e studiosa Katharine Bushnell, precorritrice della teologia cristiana femminista, sosteneva che le traduzioni della Bibbia hanno alterato intenzionalmente il senso originale di molti termini, cancellando o sminuendo il ruolo delle donne nel culto cristiano, per esempio attribuendo un significato diverso a nomi e aggettivi a seconda che fossero riferiti a uomini o a donne; Eva formata da un osso di Adamo sarebbe stata la prima vittima di tale riscrittura. Simile è la visione della rabbina Delphine Horvilleur: come spiega nel suo libro Nudità e pudore, tselah potrebbe invece significare “a fianco di”. Una sfumatura che comporta una bella differenza in termini di significato.

Mi chiedo cosa sarebbe successo se i traduttori nel mondo avessero scelto questa traduzione al posto di quella che conosciamo, se avessero raccontato la creazione del femminile come «a fianco di» e non «da una costola di», se la prima donna della storia, Eva, si fosse posizionata sin dal momento della sua apparizione, a fianco di Adamo e non come una costola, come un elemento secondario. (…) Vorrei fare con voi un esercizio di immaginazione. Immaginate se sin dall’inizio si fosse optato per questa traduzione, anziché per quella che abbiamo ereditato: sono abbastanza convinta che la civiltà in cui viviamo avrebbe potuto essere molto diversa.

Horvilleur intervistata da La Stampa

2. Non uccidere, però dipende

Happy Tree Friends al tempo dei manoscritti (fonte)

Il settimo dice / Non ammazzare, canta De André ne Il testamento di Tito, citando uno dei dieci comandamenti che nell’Antico Testamento (Esodo e Deuteronomio) Dio consegna a Mosè per il popolo di Israele. Anche chiamati “Dieci Parole”, questi sono precetti fondamentali per le religioni cristiana ed ebraica. Nonostante la loro formulazione lapidaria – letteralmente, visto che nel racconto biblico furono incisi su tavole di pietra -, neppure i comandamenti si salvano dal dibattito linguistico e dottrinale. Le varie religioni li suddividono, riassumono e spiegano in maniera diversa, e perfino un comandamento in apparenza semplice come “Non uccidere” si presta a più di un’interpretazione.

Nel testo ebraico l’azione di “togliere la vita” viene indicata da diversi verbi, ognuno con la propria sfumatura di significato; va ricordato comunque che le distinzioni non sono nette o costanti. Nel comandamento il verbo usato è r-s-h (רצח), variamente traslitterato come ratsach, retzach, rasah e simili. Le Bibbie cristiane tradizionali, a partire dalla Vulgata, lo rendono con un generale “uccidere”, mentre la lettura prevalente nei commentari rabbinici è più specifica: r-s-h significa “assassinare” o “commettere un omicidio”. Escluderebbe quindi dalla condanna divina le uccisioni involontarie o quelle in qualche modo “giustificate”, come la guerra o la pena capitale, che peraltro era contemplate dal diritto dei popoli biblici. Quando tradurre diventa una questione di vita (eterna) o di morte.

3. Corna illustri

Corna e occhiali da sole, per uno swag d’altri tempi (Universität Heidelberg)

Ricevute le tavole dei comandamenti, il profeta Mosè scende dal Monte Sinai per riunirsi al popolo israelita. Non lo sa ancora, ma dopo l’incontro con Dio il suo volto è diventato “raggiante”, o almeno così riportano varie versioni, tra cui la Torah in ebraico, la Versione dei Settanta in greco antico, la CEI in italiano e la English Standard Edition. Nella Vulgata, invece, Girolamo traduce così in latino: et ignorabat quod cornuta esset facies sua, cioè “e non sapeva che il suo volto era diventato cornuto”. Da allora le corna sono comparse in numerose rappresentazioni artistiche, tra cui il Mosè scolpito da Michelangelo per il mausoleo di papa Giulio II a Roma. Ma che c’entrano le corna?

Sono state proposte diverse spiegazioni. Potrebbe trattarsi di un classico errore di traduzione: traducendo dall’ebraico, Girolamo avrebbe confuso il verbo qaran (קרן), “risplendere”, con la forma sostantivata qeren (קֶ֤רֶן) cioè “corno”. Insomma, il volto del profeta avrebbe dovuto emettere raggi, non mostrare protuberanze. Secondo altre analisi, tuttavia, non si sarebbe trattato affatto di una svista, anche considerando che le corna erano un simbolo di potere nell’iconografia mediorientale, e spesso apparivano come attributi di re o divinità. O ancora, forse i corni dovrebbero essere più propriamente coni di luce, come nei dipinti dello Spagnoletto e di Marc Chagall, riunendo così le due interpretazioni. Chi l’avrebbe mai detto che “cornuto” potesse essere un complimento?

4. Solo non si vedono i due liocorni

Monocero in un bestiario del XII-XIII secolo (British Library)

Sempre a proposito di corna, nel Tanakh viene menzionato varie volte un animale chiamato re’em (רְאֵם‎); questi è enorme, selvaggio e dotato di un lungo corno o di un paio di corna, simbolo di forza e indomabilità. La Versione dei Settanta lo traduce con il termine monòkeros (μονόκερως), letteralmente “animale con un corno solo”. Nella Vulgata, invece, Girolamo lo rende variamente come monoceros, rhinoceros e unicornus. E così in varie versioni inglesi, come la Bibbia Tyndale, la Bibbia di re Giacomo e la cattolica Douay-Rheims, spunta un unicorn, che nulla ha a che fare con cavalli magici dalla criniera arcobaleno. Cose che succedono, quando non si può contare su glossari e memorie di traduzione.

Si ipotizza che re’em fosse il nome ebraico dell’uro, un grande bovino oggi estinto, oppure di una specie di orice, un tipo di antilope, o ancora del rinoceronte, che in effetti appare anche nella Vulgata. Il numero di corna non conterebbe più di tanto: spesso animali meno conosciuti acquistano caratteristiche nuove e favolose nel passaggio da una cultura all’altra. Nelle versioni moderne della Bibbia si parla di “bufalo” o “bisonte” in italiano e di wild ox (altro nome dell’uro) in inglese, e l’unicorno si va estinguendo. Per dirla con una canzone degli Irish Rovers, that’s why you’ll never see a unicorn to this very day.

5. Giona e la biologia marina

Micrografia di Giona e il pesce in un manoscritto del Pentateuco (British Library – Europeana)

Nel libro dell’Antico Testamento che prende il suo nome, il profeta Giona viene inghiottito da un dag gadol (דג גדול), ovvero un “pesce enorme”. Rimane nella sua pancia per tre giorni, salvandosi così dal mare in tempesta. Ma allora perché sentiamo parlare di Giona “nel ventre della balena”? È il Vangelo di Matteo a confondere le acque: in questo si dice che Giona fu ingoiato da un ketos (κῆτος), parola che in greco può significare “mostro marino” ma anche “cetaceo” o “balena”. Quest’ultima accezione a un certo punto prese il sopravvento, e nell’immaginario cristiano la balena si sostituì al pesce di grandi dimensioni. Nascono così pulpiti a forma di balena, l’espressione in the belly of the whale usata in narratologia e mitologia comparata, una canzone di Tom Waits, e – almeno secondo una teoria che circola in rete – persino l’augurio italiano “in culo alla balena”.

Quella di Giona non è l’unica storia in cui un pesce diventa un cetaceo. Nel romanzo di Collodi Le avventure di Pinocchio, Geppetto e il burattino vengono ingoiati dal Terribile Pesce-cane, che però nella trasposizione Disney del 1940 diventa una balena. Certo, in quel caso si tratta di una scelta di adattamento e non di una traduzione errata. Va comunque ricordato che la distinzione fra pesci e mammiferi marini non è sempre stata netta, e che – come nel caso del monocero/unicorno – non è sempre possibile associare una specie reale a una creatura del mito. I tentativi di identificare l’animale di Giona non sono mancati; in uno scritto del 1907 l’esperto di lingue semitiche Paul Haupt discute della possibilità che si trattasse di un capodoglio. Ma come ricorda lo stesso Haupt, il libro di Giona non è un resoconto storico. Un po’ di fantasia non guasta.

6. Il cammello nella cruna dell’ago

Per far passare un cammello grande, ci vuole una cruna grande (Ashmolean Museum)

Nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca (detti “sinottici”, perché riportano in parallelo le stesse storie) compare un noto proverbio: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. È un’immagine iperbolica e memorabile per la sua bizzarria: a chi sarà mai venuto in mente di accostare cammelli e crune? Nel tempo sono state avanzate varie ipotesi per spiegare l’origine del detto, chiamando in causa anche errori di traduzione. Infatti, in greco la parola kàmelos (κάμηλος), “cammello” o “dromedario”, è molto simile a kàmilos (κάμιλος), “fune”: a passare o non passare dalla cruna sarebbe quindi stata una corda spessa. Alcuni commenti fanno notare come anche in armeno e nelle lingue semitiche ci sarebbe stata confusione fra le parole “cammello” e “gomena”. Ma non tutti gli studi concordano in merito.

C’è un’altra possibile spiegazione: che il cammello vada bene così com’è. Dopotutto, molti modi di dire si servono di esagerazioni simili; espressioni analoghe si trovano nel Talmud babilonese (con un elefante invece di un cammello) e in una surah del Corano, anche se occorre ricordare che i Vangeli furono messi per iscritto prima di quei testi, e non si può pertanto escludere un’influenza dei primi sui secondi. Circola anche una teoria popolare secondo cui una delle antiche porte di accesso a Gerusalemme sarebbe stata tanto stretta da non permettere il passaggio di un cammello con tutto il suo carico; non ci sono prove, tuttavia, dell’esistenza di una tale porta. A volte è più facile per un cammello passare dalla cruna di un ago che per una persona interpretare un testo antico senza commettere errori.

7. Tra il bue e l’asinello

Che stress le recite natalizie dell’asilo (British Library)

Il bue e l’asinello fanno coppia fissa nell’iconografia cristiana da almeno una quindicina di secoli: secondo la tradizione, i due animali si trovavano vicino alla mangiatoia dove giaceva Gesù Bambino e lo riscaldarono col loro fiato. Di sicuro se ne troverà traccia in uno dei quattro Vangeli che fanno parte del Nuovo Testamento, no? No. L’unico a citare bue e asinello è un testo apocrifo scritto in latino nel VIII o IX secolo, il Vangelo dello pseudo-Matteo, che recita: “la beatissima Maria […] depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l’asino l’adorarono”. L’autore continua dicendo che l’evento adempie due profezie dell’Antico Testamento, una di Isaia (che cita appunto un bue e un asino), e una di Abacuc. Ma c’è un ma.

Nell’originale ebraico, la profezia di Abacuc annuncia che l’opera di Dio si manifesterà “tra due età” (o nelle versioni moderne “nel corso degli anni”). Chi compilò la Versione dei Settanta in greco, però, confuse il genitivo plurale di “età” (ζωῶν) con quello di “animale” (ζῷον) e la frase fu stravolta diventando “in mezzo a due animali”. Il Vangelo dello pseudo-Matteo si basa proprio sul testo dei Settanta, e riprende l’errore traducendo in latino in medium duorum animalium (per contro, la Vulgata traduce correttamente in medio annorum). Se almeno una volta hai copiato la versione del liceo dalla persona sbagliata, potrai metterti nei panni dell’incauto autore. Solo che, in questo caso, da una cattiva traduzione è nata un’intera tradizione.

8. Like a Virgin (o forse no)

“Perché questa baguette ha una faccia?” (Reddit)

Il Libro di Isaia contiene una serie di oracoli sul destino di Gerusalemme e la caduta di Babilonia. Ai versetti 7:1-16 il profeta eponimo riferisce un messaggio divino ad Acaz, re di Giuda: il re non dovrà allearsi con potenze straniere, ma affidare la salvezza del suo regno a Dio. Un segno divino proverà che quanto dice Isaia è vero: “la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”. Da secoli l’identificazione della donna e del figlio è oggetto di dibattito nei commentari biblici. Anche perché potrebbe non trattarsi di una vergine.

L’ebraico almah (עַלְמָה) ha più propriamente il significato di “giovane donna”, infatti, mentre il termine corrispondente a “vergine” è betulah (בתולה). Tuttavia nella Versione dei Settanta almah è stato tradotto con il greco parthénos (παρθένος), per l’appunto “vergine”; una scelta mantenuta dalle versioni cristiane secoli dopo. Nel cristianesimo, Isaia 7:14 acquista notevole importanza: il versetto viene interpretato come una profezia della nascita di Gesù, partorito dalla vergine Maria. Quando nel 1952 uscì la Revised Standard Version, un’innovativa traduzione in lingua inglese della Bibbia che conteneva fra l’altro la traduzione “giovane donna” al posto di “vergine”, non mancarono le reazioni negative: due pastori statunitensi diedero addirittura fuoco ai versetti incriminati. Ma la correzione riguarda anche alcune traduzioni italiane: nella Nuova Riveduta 2006 leggiamo proprio “la giovane concepirà”.

9. Chiesa o congregazione?

Modi estremi per punire il peccato di TDM (Wikipedia)

Hai appena terminato un laborioso progetto di traduzione e ti appresti finalmente a pubblicarlo. Per tua sfortuna, le autorità non sono affatto d’accordo: decidono che hai commesso un’empietà, ostacolano la stampa dell’opera, ne vietano la distribuzione e bruciano in piazza le copie che a fatica avevi fatto uscire; poi ti accusano di eresia, ti condannano alla pubblica esecuzione, ti strangolano e per finire bruciano i tuoi resti. È quanto accadde a William Tyndale, studioso inglese del XVI secolo che volle tradurre la Bibbia in un linguaggio accessibile ai più (senza cioè l’intervento mediatore del clero) e a suo parere più fedele al testo originale. E tutto in un’epoca in cui anche solo possedere una versione della Bibbia non autorizzata poteva costare caro.

Le traduzioni eterodosse di Tyndale furono da subito accusate di promuovere un pensiero anticlericale e di porsi in contrasto con la dottrina ufficiale della Chiesa. Un esempio significativo è la resa della parola greca ecclesia (ἐκκλησία): Tyndale la tradusse con il termine congregation invece del tradizionale church, restituendo quello che a suo dire era il vero significato del termine. Di fatto, diede ragione a chi sosteneva che la “chiesa” voluta da Dio fosse da intendersi come la “congregazione” dei credenti, e non piuttosto come un’organizzazione temporale con una struttura di potere definita. Tyndale non fece una bella fine, ma la sua opera gli sopravvisse: nonostante i roghi di libri, la sua traduzione gettò le basi per successive edizioni in inglese della Bibbia, e molte delle espressioni da lui coniate entrarono nell’uso comune. Con buona pace di Thomas More (sì, il Tommaso Moro, de L’Utopia), secondo cui gli errori in Tyndale erano facili da trovare come “acqua nel mare”.

10. Il Dio tentatore del Padre nostro

Quando la preghiera non basta a liberarsi dal maligno (medievalfragments)

A partire dal novembre 2020 le diocesi italiane hanno iniziato a seguire la nuova edizione del Messale, il libro della liturgia cattolica. La modifica più evidente ha riguardato la preghiera del Padre nostro: invece di “non ci indurre in tentazione”, la nuova invocazione recita “e non abbandonarci alla tentazione”, allineandosi alla Bibbia CEI 2008. Un cambiamento simile era già avvenuto in Francia nel 2017, quando la Conferenza episcopale francese aveva introdotto la formula et ne nous laisse pas entrer en tentation, “e non lasciarci entrare in tentazione”. Nonostante papa Francesco auspicasse da tempo una modifica simile, nel mondo cattolico non sono mancate le discussioni.

Il Padre nostro si trova nel Vangelo secondo Matteo e, in una versione più breve, nel Vangelo secondo Luca. In merito alla scelta di aggiornare la traduzione, il cardinale Giuseppe Betori e il giornalista Riccardo Maccioni hanno spiegato sulle pagine di Avvenire che l’italiano indurre farebbe pensare a una costrizione maggiore di quanto non sia implicato dal greco eisfèrein (εἰσφέρειν) dei testi evangelici originali, o del latino inducere scelto da Girolamo nella Vulgata. La nuova formulazione si presterebbe inoltre a una minore confusione interpretativa, dato che a tentare l’uomo non è Dio ma Satana; a Dio si può semmai chiedere sostegno nel momento della prova. Ma c’è anche chi non è convinto da tali motivazioni, sia teologiche che linguistiche, e chi ha apertamente criticato le parole del Papa in proposito. Forse si tratta di una questione di fede, più che di fedeltà a un testo.

11. In principio furono gli alieni

Più che marginalia, margin-alien (jothelibrarian)

Chiudiamo con uno sguardo alle stelle. Se non hai mai sentito parlare della teoria degli antichi astronauti, ti sorprenderà sapere che secondo alcune interpretazioni nella Bibbia non compare nessun dio. Quella che erroneamente identifichiamo con una divinità sarebbe invece una razza di esseri extraterrestri realmente esistiti, arrivati sul nostro pianeta millenni fa per guidare l’evoluzione umana; segni del loro passaggio sarebbero rintracciabili in monumenti, manufatti e testi antichi. Fra i promotori della paleoastronautica troviamo Zecharia Sitchin, Erich von Däniken e Claude Vorilhon, fondatore del movimento raeliano, mentre in Italia hanno guadagnato popolarità gli scritti di Mauro Biglino, traduttore di ebraico biblico per le Edizioni San Paolo.

Biglino fa una traduzione interlineare dell’Antico Testamento: secondo il suo approccio, solo traducendo il testo parola per parola, si può restituire al racconto il suo vero significato. Un esempio è la parola Elohim (אֱלֹהִים), plurale di Eloah, nome comune per “dio” che nell’Antico Testamento viene usato come plurale maiestatis per riferirsi al Dio di Israele; secondo Biglino sarebbe da intendersi invece come un plurale letterale che si riferisce a una moltitudine di alieni. Come spiegano il divulgatore Massimo Polidoro e lo studioso Giuseppe Cuscito, però, non ci sono prove a sostegno di questa lettura o delle altre traduzioni innovative proposte da Biglino. Una traduzione letterale di un testo che non prenda in considerazione il contesto linguistico o socio-culturale rischia di stravolgerne il senso, più che di svelarlo. E questo sì che è un comandamento da tenere a mente.

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Scritto da

Beatrice Schembri

6 Post:

Italia, Euskadi, Inghilterra, Canada, Paesi Bassi, poi spera di fermarsi perché si è fatta una certa. Va in giro portandosi dietro la casa, tipo chiocciola, e qualche scatolone di libri. Sogna di imparare a dire "ho fame" in tutte le lingue del mondo.
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