La TDM è servita: 10 cibi italiani con nomi curiosi (parte 1)

Quando il malinteso è servito su un piatto d’argento

Calzone, dondolo, pasticcio, puttanesca: la cucina italiana è ricca di pietanze con nomi curiosi che possono offrire favolosi assist a equivoci linguistici e incresciose TDM. Perché, per parafrasare la legge di Murphy, se una parola può essere tradotta male, lo sarà.

Un lessico ricco quanto la nostra cucina

L’Italia è un paese dove un dolce di Carnevale può avere decine di nomi diversi, una gomma da masticare e un mozzicone di sigaretta possono chiamarsi nello stesso modo e il genere grammaticale di una palla di riso ripiena e fritta può costituire il casus belli di una guerra civile. Se un lessico così ricco in fatto di cibo può portare a malintesi anche tra persone che vivono nello stesso paese, figuriamoci quando si tenta di tradurlo. Grazie alle segnalazioni della nostra community, abbiamo raccolto dieci casi in cui una pietanza italiana dal nome curioso è diventata una TDM servita su un piatto d’argento. Ne abbiamo approfittato anche per andare alla ricerca dell’origine di questi nomi, che spesso sono legati ad aneddoti curiosi, prestiti da altre lingue o semplici aspetti funzionali. Buona lettura!

1. La graffa

Segnalata da Antonio

Oltre a indicare il piccolo gancio metallico a forma di U che usiamo per spillare i fogli (in inglese, staple), la parola “graffetta” è anche il diminutivo di “graffa”, che a sua volta può essere un particolare tipo di parentesi oppure, come in questo caso, una ciambella fritta ricoperta di zucchero tipica della cucina napoletana. Tre accezioni piuttosto diverse tra loro, ma unite da un etimo comune: il longobardo krapfo, che significa “uncino”.

La parola krapfo richiama la forma ricurva con cui vengono piegate le graffe (o almeno, quelle non a ciambella classica) ed è imparentata con krapho e krapfe, ovvero l’etimo di un altro dolce fritto, ma ripieno di cioccolata o marmellata e tipico della Germania: il krapfen. Che però ha una forma tondeggiante ed è priva di buco. Sarà l’iperglicemia, o qui qualcosa non quadra?

In realtà, nelle diverse aree germanofone possiamo trovare diverse varianti di krapfen, alcune con una forma più uncinata o addirittura a mezzaluna. Oggi la parola krapfen non è più in uso nel significato di “uncino” o “graffa”, ma anche l’Accademia della Crusca è concorde nel dire che c’è un filo rosso che unisce il krapfen e la graffa. E no, non è solo quello del colesterolo.

[Questa didascalia è ripresa da un post della nostra serie TDMmando si impara]

2. La puttanesca

Segnalata da Chiara

Gli spaghetti alla puttanesca sono un piatto tipico della tradizione campana a base di pomodoro, olio, aglio, olive nere di Gaeta, capperi e origano; aggiungendo acciughe sotto sale, si prepara invece la versione laziale. Attorno all’origine del loro nome gravitano diverse leggende, ma non servono grandi ricerche per capire il richiamo al meretricio di questo aggettivo, che al di fuori del contesto gastronomico è da considerarsi volgare almeno quanto la parola da cui deriva.

Abbiamo già visto che tra lingua tedesca e parolacce inglesi esiste un rapporto complicato, forse proprio per questo la gestione del ristorante non ha avuto problemi nell’inserire nel proprio menù bitch spaghetti, letteralmente “spaghetti alla stronza” (perché “puttana” è spesso una traduzione letterale con connotazione sessista). Meglio non chiedersi l’effetto che ha sortito sulle persone anglofone che l’hanno letto. Meno esplicita la scelta operata dal ristorante qui sotto, che fa riferimento a uno dei tanti eufemismi con cui si può sostituire “prostituta”, ovvero “signora della notte”. In entrambi i casi, la missione di rendere il concetto di “puttanesca” in inglese è fallita alla grande. Il conto, grazie!

3. Le caserecce alla norma

Segnalata da Stefania

Questo piatto ci porta in Sicilia, più precisamente a Catania. La pasta alla norma si prepara con pomodoro, ricotta salata, basilico e melanzane fritte, perché la dieta inizia sempre domani. Anche in questo caso non ci sono grandi certezze circa l’origine del suo nome, ma secondo la tradizione lo dobbiamo al commediografo catanese Nino Martoglio, che dopo averne consumato un piatto esclamò “Questa è una vera Norma!”. Il riferimento era all’omonima opera del suo concittadino Vincenzo Bellini, noto compositore. Possiamo immaginare che chi ha tradotto il menù qui sopra non fosse un grande fan della lirica: purtroppo per questa persona, “norma” significa anche “regola, esempio o modello a cui ci si deve attenere”, da cui l’inglese norm e il tedesco Norm. Ma dopotutto le TDM nei menù sono la norma, quindi l’errore ha una sua logica.

Più semplice l’etimologia di “casarecce”, tipo di pasta tipico del Centro-Sud italiano, il cui nome si rifà alla modalità casalinga con cui veniva preparata. Questo formato è un’interpretazione della “pasta busiata” d’origine araba, che veniva ottenuta avvolgendo l’impasto attorno alla sottile canna di una pianta detta bus. La traduzione letterale con homemade e Selbstgemacht di per sé non fa una piega, se non fosse per due problemini: non dice nulla sul formato di pasta e può essere fuorviante, visto che con ogni probabilità saranno casarecce di produzione industriale. Alla fin fine la traduzione è come la pasta: farsela in casa richiede molto tempo e fatica, e non è manco detto che il risultato sia decente.

Ma allora è un vizio! (segnalata da Monica)

4. La vaccinara

Segnalata da Gabriele

Ritorniamo nel Lazio per uno dei più tipici piatti di Roma: la coda alla vaccinara. In estrema sintesi si tratta di coda di bue stufata e deve il suo nome ai vaccinari, ovvero gli abitanti nel rione Regola. Come tutte le altre specialità di questo articolo, non ha un nome semplice da tradurre in lingua straniera. Se ne deve essere accorta anche la persona a cui è stato affidato questo menù, che ha alzato bandiera bianca e optato per un semplice (e un po’ sgrammaticato) “piatto tipico romano”. Allo sfortunato avventore straniero non resta che affidarsi alla fortuna o a Google, in base a quanta copertura c’è nel locale.

5. Il pasticcio

Segnalata da Gabriella

Voliamo rapidi verso nord e raggiungiamo il Veneto, patria del risi e bisi, ovvero riso con i piselli. Il significato di “bisi” potrebbe non essere immediato persino per una persona che vive in Italia, quindi la scelta di tradurlo in tutto il menù con peas, “piselli”, è azzeccata. Lo stesso non si può dire per l’occorrenza di “pasticcio” nella terza riga. In ambito culinario, questa parola è un termine ombrello per diversi tipi di preparazione, ma per farla semplice prendiamo come riferimento la definizione del vocabolario Treccani:

Pietanza per lo più costituita da un involucro di pasta frolla o d’altro tipo e da un ripieno di pasta alimentare, precedentemente cotta e adeguatamente condita, o di carne, pesce, ortaggi, variamente trattati, generalmente fatta cuocere al forno

Peccato che questa parola ha anche il significato figurato di “lavoro, anche intellettuale, mal fatto, disordinato, confuso”, da cui deriva l’inglese mess. Fare parallelismi con il pasticcio della traduzione sarebbe troppo scontato e un po’ ingiusto: in anni di onorato servizio, abbiamo visto ben di peggio. E poi, a ben vedere, anche nel mondo anglosassone troviamo pietanze “pasticciate” come l’Eton mess e il Lacing mess, due rari casi in cui un pasticcio non farebbe uscire dai gangheri Gordon Ramsay.

6. Il calzone

Segnalata da Raffaella

Il calzone è una specialità tipica di diverse regioni italiane che consiste in un involucro di pasta lievitata ripieno, cotto al forno oppure fritto. È possibile che per te sia sovrapponibile al panzerotto (o “panzarotto”), dato che in alcune zone i due termini sono sinonimi; tuttavia, le due pietanze sono leggermente diverse: a sentir l’Accademia della Crusca, il discrimine non sta nella cottura, bensì nelle dimensioni. “Calzone” però è anche un altro modo per definire i pantaloni, il che spiega la traduzione letterale trousers. Ironia della sorte, il nome del calzone commestibile non sembra derivare dal calzone indossabile. La sua origine non è chiara, ma è possibile che stia per “grande calza”, con riferimento alla calza che viene riempita per la Befana. La traduzione di questo menù ne merita una ricca di carbone, e non solo per trousers.

Sorvoliamo su wraps, che nella cultura anglosassone indica una sfoglia morbida ripiena simile ma non uguale alla piadina, e concentriamoci su raw. Dal punto di vista letterale nulla da eccepire: significa proprio “crudo”. Ma in primo luogo, l’ellissi “crudo” per “prosciutto crudo” è immediata solo nella nostra cultura; per evitare qualsiasi equivoco, meglio specificare ham. In seconda battuta, il prosciutto crudo in inglese si definisce dried (essiccato) o cured (stagionato), sempre che non lo si voglia lasciare in italiano, già che è abbastanza noto con questo nome. Poi oh, magari questa è una pizzeria d’asporto crudista e non lo sappiamo, tutto può essere.

7. I dondoli

Segnalata da Adelvis

Guarda come dondolo, direbbe Edoardo Vianello. Ma dietro questa TDM non ci sono né il twist né lo swing. In italiano, “dondolo” può indicare una sedia o divanetto in grado di muoversi avanti e indietro oppure, per ellissi, “cavallo a dondolo”. Ma per chi vive a Trieste e Capodistria, il dondolo è anche il mollusco bivalve altresì noto come tartufo di mare o noce. Su cosa c’entrino sedie, tuberi e frutta secca con i molluschi non mi chiedere: non sono riuscito a trovare l’origine di nessuno di questi nomi. Resta il fatto che le traduzioni swing e Schaukeln siano difficili da digerire, dato che significano “altalena”. Altro che amaro a fine pasto: qui ci va l’acido muriatico.

8. Il fior di latte

Segnalata da Serena

La dicitura “fior di latte” (spesso anche riportata come “fiordilatte”) si riferisce a due pietanze accomunate dall’ingrediente base con cui vengono preparate: la comune mozzarella di latte vaccino (da non confondere con quella di bufala, così da non inimicarsi mezzo Centro Italia) e un gelato a base di panna. Sembra che in origine questo nome fosse solo un altro modo di definire la panna, e non è chiaro quando è diventato anche sinonimo di mozzarella. Più certa la prima attestazione del gelato al fiordilatte, lanciato dalla Motta negli anni Cinquanta del Novecento.

Nel caso di questa foto, però, l’etimologia c’entra poco. Per arrivare a fjords milk non basta una svista: serve una creatività ammirabile. Difficile ricostruire il processo che ha partorito questa traduzione, ma è evidente che “fior di” sia stato cercato su Google o in un dizionario come “fiordi”, da cui fjords. Non vedevamo un capolavoro simile dai tempi di “semifreddo” tradotto con coldseeds. Queste sì che sono TDM che ti lasciano di ghiaccio.

9. I coccoli

Segnalata da Marco

Chi non vorrebbe trovarsi in un tenero abbraccio di prosciutto e stracciatella? Questa immagine capace di farci rivalutare il concetto di food porn la dobbiamo ai coccoli toscani, palline di pasta fatta lievitare e fritta, molto simili alle zeppole napoletane, da farcire con formaggio e salumi. La vicinanza tra “coccoli” e “coccola” (in inglese, cuddle) è l’ingrediente segreto che trasforma questa pietanza in una morbida effusione a base di grassi saturi.

Menzione d’onore per land come traduzione letterale di “di terra”. A onor del vero questo concetto tutto italiano non è semplice da rendere in un’altra lingua: per andare sul sicuro lo si potrebbe anche spiegare. Curioso invece che l’inglese abbia un’espressione simile al nostro concetto di “mari e monti”, ovvero Surf ‘n’ Turf. E no, non sto paragonando la cucina anglosassone a quella italiana, puoi abbassare il forcone.

10. I rapini

Segnalata da Lucy

Se il ristorante ha pagato una persona per farsi tradurre questo menù, allora sì che siamo di fronte a una rapina a mano armata. Con una certa approssimazione, i rapini non sono nient’altro che i friarielli, detti anche broccoletti o cime di rapa, una verdura a foglia verde ben diffusa in varie regioni italiane. Basta cambiare una vocale, ed ecco spuntare robbery, “rapina”. E che dire del malted cheese, refuso di melted cheese? Di nuovo, una lettera sbagliata e invece del formaggio fuso abbiamo un formaggio con aggiunta di malto. Io non l’ho mai sentito prima, ma nel dubbio eviterei di mangiarlo, non so te.

Bonus: le judías

Segnalata da David

Pensavi mica che i piatti con nomi fraintendibili fossero un’esclusiva dell’italiano? In tal caso, eccoti un bell’esempio dallo spagnolo che ti farà cambiare idea. Sotto al termine generico judías o judías verdes ricadono tanto i fagiolini (judías redondas) quanto le taccole (judías planas), entrambe membri della famiglia dei piselli. Peccato che judío stia anche per “ebreo”, così nella traduzione inglese le taccole stufate con orecchio e muso di maiale diventano donne ebree stufate con orecchio e manopola (knob). Mentre decidiamo se questa sia la peggiore TDM di sempre, inizierei ad abbandonare il tavolo senza dare troppo nell’occhio.

Con questa perla terminiamo la prima parte di questo articolo. Ebbene sì: abbiamo abbastanza materiale per pubblicarne anche una seconda. Nel frattempo che la prepariamo, aiutaci a far girare questo articolo oppure lasciaci un commento qui sotto!


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Scritto da

Ruben Vitiello

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Italiano a Barcellona, traduttore barbaro, amministratore della TDM.
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